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Halloween II
All’inizio ritroviamo la Scout Taylor-Compton di "Zombies-La vendetta degli innocenti" (2006) nei panni di Laurie Strode, ricoperta di sangue e ancora armata di pistola, in quanto sopravvissuta alla terribile vigilia d’Ognissanti di "Halloween-The beginning" (2007), prequel e remake di "Halloween-La notte delle streghe" (1978) di John Carpenter.
Poi ci si sposta a un anno dopo, con il gigantesco e pericoloso Michael Myers che, nuovamente incarnato sotto la bianca e malandata maschera dall’imponente wrestler Tyler Mane, torna sulle tracce della sorella adottiva lasciandosi alle spalle una lunga scia di cadaveri, mentre, un po’ come il Jason Voorhees di "Venerdì 13", ha anche visioni della madre defunta che gli parla.
Ma, se già la riuscita pellicola precedente spinse parte dei fan halloweeniani a storcere il naso dinanzi a una certa umanizzazione attuata sull’assassino soprannaturale più famoso del 31 ottobre, questa volta il regista Rob Zombie finisce per rivisitare in maniera eccessivamente personale caratteristiche e personaggi della storica serie; a partire da una Laurie trasformata in scatenata pseudo-ribelle in salsa hard rock e da un sempre più ridicolo dottor Loomis alias Malcolm "Arancia meccanica" Dowell che se ne va in giro in limousine, impegnato tra seminari e interventi televisivi riguardanti il serial killer immortale, quando non si mette a snocciolare commenti sul petrolio che alimenta il sogno americano.
E perfino la consueta mattanza, motivo d’interesse di qualsiasi slasher-movie che si rispetti, si riduce a una lunga sequela di tutt’altro che fantasiosi omicidi, consumati quasi sempre al buio, fuori campo o immortalati da una macchina da presa impazzita che, nel probabile tentativo di conferire al tutto un innovativo look visionario, spesso impedisce allo spettatore di capire cosa sta succedendo all’interno dello schermo.
Con la risultante di un monotono e del tutto inutile spettacolo che, assumendo progressivamente fattezze non troppo distanti da quelle di un lungo videoclip heavy metal e relegando i mitici temi musicali creati da Carpenter al solo finale, non regala alcun momento memorabile.
Quindi, se Rob Zombie crede di essere il Quentin Tarantino del cinema horror (perché l’impressione che si prova dinanzi ai suoi film è questa), è bene che sappia che dal geniale autore di "Bastardi senza gloria" (2009) ha ripreso in parte il citazionismo cinefilo (a un certo punto si parla di "Cat Ballou"), in parte la propensione ad infarcire colonne sonore con pezzi più o meno riscoperti (qui abbiamo "Nights in white satin" dei Moody blues) e in parte il recupero delle vecchie glorie della produzione di genere (tra le brevi apparizioni, una della Margot Kidder di "Superman"), ma non le notevoli capacità di sceneggiatore.
La frase: "Lui si alimenta del nocciolo dell’anima delle sue vittime".
Francesco Lomuscio
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