Grande, grosso e Verdone
Che si tratti dell’imbranato Mimmo, il pignolo Furio o il coatto de Roma Ivano, è sempre lui: Carlo Verdone, da almeno tre decenni una maschera che, capace di porsi contemporaneamente sia davanti che dietro la macchina da presa, ha sempre riempito le sale cinematografiche grazie a un esplosivo mix di comicità verbale ed esasperazione (???) dei tic appartenenti all’italiano più o meno medio.
Stesso mix che, su grande richiesta dei fan, torna a essere l’ingrediente vincente, a tredici anni da “Viaggi di nozze” (1995), di un Verdone diviso in tre episodi, o tre piccoli film, come lo stesso attore-regista preferisce definire, unicamente accomunati dal tema del candore contrapposto all’immensa volgarità dello stivale tricolore d’inizio millennio.
Si parte quindi con la tragicomica favola della famiglia Nuvolone, la quale, in seguito all’improvvisa morte dell’anziana mamma del capofamiglia Leo, si trova ad avere a che fare con un grottesco impresario di pompe funebri interpretato dal Massimo Marino delle notti sexy-trash in tv, la cui sola entrata in scena rischia già di trasformarsi in cult.
Tra critica politico-sociale e attacco al falso perbenismo, si prosegue con il dispotico e temuto professore universitario Callisto Cagnato, talmente interessato a svezzare il timido e insicuro figlio Severiano-Andrea Miglio Risi, da non esitare ad accogliere in casa propria l’intelligente e graziosa Lucilla-Martina Pinto.
E si conclude con il cafone arricchito Moreno Vecchiarutti, in vacanza scaccia-crisi familiare nell’albergo più prestigioso di Taormina, insieme al figlio Steven-Emanuele Propizio e la moglie Enza-Claudia Gerini, dove, tra stratagemmi volti a risvegliare il desiderio sessuale e “mancioni” disumani sparsi ovunque, non solo apprende che “Chi nun c’ha cultura oggi nun va da nessuna parte”, ma arriva a confrontarsi con lo squallore che si nasconde dietro l’apparentemente linda classe agiata.
Ma la novità risiede nel fatto che, a differenza di “Un sacco bello” (1980), “Bianco rosso e Verdone” (1981) e il già citato “Viaggi di nozze”, i tre segmenti sono posti questa volta in maniera sequenziale, senza incrociarsi mai e, aspetto positivo, senza apparire l’uno meglio o peggio dell’altro, nonostante il personaggio di Leo sfiori le fattezze di una presa in giro del Verdone imbranato stesso.
Segmenti che funzionano comunque alla grande, costruiti su un’ottima sceneggiatura che, scritta dal comico romano insieme agli abituali collaboratori Piero De Bernardi (“Compagni di scuola”) e Pasquale Plastino (“L’amore è eterno finché dura”), si rivela ricca di risvolti e sorprese, tanto da riuscire nella non facile impresa di far sprofondare quasi ininterrottamente lo spettatore in risate, per ben 131 minuti circa (non pochi, quindi) tempestati di consuete apparizioni di volti noti e caratteristi del piccolo e grande schermo, da Nicola Di Gioia a Roberto Farnesi.
Anche se con più ottimismo e meno malinconia del solito.

La frase:
- "Famolo normale"
- "E com’è normale?"

Francesco Lomuscio

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