Gli amici del bar Margherita
Accompagnati dalla voce narrante del diciottenne Taddeo (Pierpaolo Zizzi), si parte subito con la veloce presentazione dei protagonisti, frequentatori del bar Margherita che si trova proprio sotto i portici davanti a casa sua e ai quali sogna di aggiungersi: Al (Diego Abatantuono), l’uomo più carismatico e misterioso del quartiere, convinto che l’aspetto più bello del matrimonio sia la fine; Bep (Neri Marcorè), il cui rapporto con Beatrice (Maria Pia Timo) viene turbato dall’incontro con Marcella (Laura Chiatti); Gian (Fabio De Luigi), aspirante cantante; Manuelo (Luigi Lo Cascio), ladruncolo e sessuofobo; Zanchi (Claudio Botosso), inventore delle cravatte con l’elastico; Sarti (Gianni Ippoliti), campione di ballo con smoking sempre indosso.
Tutti immersi nella nostalgica Bologna del 1954, in cui il bacio slinguazzato era quello che andava maggiormente di moda, ma anche dove venivano effettuate le riprese di "Hanno rubato un tram" con Aldo Fabrizi.
La Bologna della giovinezza di Pupi Avati, nella quale il regista de "Il regalo di Natale" inserisce accanto al già nutrito cast anche Katia Ricciarelli ("La seconda notte di nozze") e l’immancabile Gianni Cavina ("La casa dalle finestre che ridono"), rispettivamente nei panni della mamma e del nonno di Taddeo, oltre alla bella Luisa Ranieri ("Il principe e il pirata") in quelli di una prosperosa insegnante di pianoforte che fa perdere la testa all’anziano.
Una Bologna che il maestro emiliano, supportato anche dal notevole comparto relativo alle scenografie e ai costumi, ricostruisce efficacemente filtrando il tutto attraverso la sua invidiabile tecnica, mentre tira in ballo un barista che si offende se lo chiamano Water anziché Walter e perfino Gian/De Luigi alle prese con un’audizione per l’ambito Festival di Sanremo, al fine di confezionare quello che agli occhi dello spettatore appare come una sorta di "Amarcord" in salsa "Amici miei".
Un "Amarcord" privo però della poesia felliniana e che sfiora soltanto il lato antipatico del cinismo di Monicelli, basato su una sceneggiatura che, infarcita di accentuata misoginia, si costituisce in maniera esclusiva di una sequela di situazioni poco coinvolgenti e, soprattutto, difficilmente capaci di spingere lo spettatore a sprofondare in sane risate.
Se poi aggiungiamo che si toccano perfino i livelli della commediaccia trash, sia nella sequenza in cui vengono sfoggiati gli occhiali k per vedere le donne nude che in quella che vede Taddeo organizzatare una festa da ballo con morto in casa, è chiaro che, rispetto ai precedenti "Il nascondiglio" e "Il papà di Giovanna", si è fatto un bel passo indietro.

La frase: "Ogni anno i fenomeni del bar Margherita si facevano una foto di gruppo".

Francesco Lomuscio

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