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La ragazza con l'orecchino di perla
Ancora una volta la letteratura ispira il cinema e, nel caso dell'ormai celebre romanzo dell'americana Tracy Chevalier persino prima della pubblicazione.
L'immaginaria storia romantica e soave della pura e silenziosa tenerezza tra il pittore Jan Vermeer e la servetta Griet, ha fatto ormai il giro del mondo realizzando uno straordinario numero di vendite. A due anni dalla sua pubblicazione se ne ripropone la vicenda grazie alle immagini "dipinte" - è proprio il caso di dirlo - da Peter Webber.
Il regista inglese introduce immediatamente nelle atmosfere quotidiane che l'arte olandese del XVII riproduceva con fedeltà ed intensa compenetrazione. Rasserenano subito le prime inquadrature della paziente e lenta preparazione delle verdure di Griet, nel giorno della sua partenza per Delft, per andare a servire nella casa del pittore. È il 1665, l'inverno è alle porte e la vita nella casa dell'artista è dura e faticosa. I soli momenti di requie Griet li trova proprio nello studio quasi sospeso nel tempo, dove deve spolverare senza spostare neppure d'un millimetro gli oggetti. Il pittore olandese scopre in quella giovane silenziosa e seria, la sola persona della casa a comprendere i segreti dell'arte della composizione e del colore, e con lei costruirà un'insolita ma intensa corrispondenza di sensi e di intelletto.
Se non fosse perché per tutta la durata del film si ha la sensazione di trovarsi all'interno dei quadri del Maestro di Delft, il film sarebbe abbastanza noioso. In fondo la storia è quasi impercettibile, e se nel libro le parole riuscivano in qualche modo a sostenerne la mancanza, l'adattamento cinematografico ne mostra con maggior evidenza l'inesistenza. Oltre ad aver scelto un'interprete davvero straordinaria in Scarlett Johansson, che i silenzi della protagonista riesce a trasformare in dialoghi sommessi, Peter Webber gioca a ricostruire le opere degli artisti di quell'epoca definita l'Età dell'Oro dell'Olanda, lasciando che la luce delle candele o quella del giorno che i vetri piombati delle finestre lasciano entrare, si muova liberamente nascondendo o rivelando dolcemente gli interni ammobiliati con semplicità e le figure che vi si avvicendano.
Purtroppo non c'è altro, oltre alla composizione e alla luce sostenuta dalla fotografia di Eduardo Serra, al volto eloquente ed incisivo della Johansson e alla musica composta dal francese Alexandre Desplat, tutti elementi che però non riescono a rendere sufficientemente appassionante la pellicola.
Valeria Chiari
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