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G.I. Joe: La vendetta











Al termine di "G.I. Joe - La nascita dei Cobra" (2009), trasposizione su celluloide delle action figure lanciate nel lontano 1964 e divenute ancora più popolari circa vent’anni dopo, avevamo intuito che il malvagio Zartan alias Arnold Vosloo si era sostituito al presidente degli Stati Uniti, assumendo le fattezze di Jonathan Pryce.
Infatti, il protagonista di "Brazil" (1985) interpreta sia l’importante politico che l’insospettabile impostore in questo sequel girato in 3D che, al di là di Channing Tatum e Ray Park per la seconda volta nei panni del soldato Duke e del misterioso Snake eyes, rispetto al capostipite vede una squadra di eroi tutta nuova impegnata a combattere non solo contro i consueti, mortali nemici, ma anche a far fronte alle minacce degli esponenti del governo che mettono a repentaglio l’esistenza della stessa.
Squadra che vede la propria spina dorsale in Roadblock, con il volto di Dwayne "The Rock" Johnson, e che include l’esperta tiratrice con competenze di intelligence Lady Jaye, ovvero Adrienne Palicki, e Flint, incarnato da D.J. Cotrona e specializzato in Parkour, misto di atletica e pericolo nell’uso di movenze e flessibilità per portare il proprio corpo da un punto A ad un punto B.
Tutti coinvolti in un’ora e cinquanta di movimento su celluloide che, destinata a spostarsi dai deserti di Islamabad alle strade di Washington, passando per i grattacieli di Tokyo e un carcere sotterraneo tedesco, comprende anche il veterano Bruce Willis nel ruolo del fondamentale Joe Colton; mentre al Ray Stevenson di "The punisher - Zona di guerra" (2008) e alla Elodie Yung del fincheriano “Millennium-Uomini che odiano le donne” (2011) spetta il compito di concedere anima e corpo ai cattivi Firefly e Jinx, cugina di Storm shadow, nuovamente con le fattezze di Byung-hun Lee.
Un’ora e cinquanta di movimento su celluloide che, senza dubbio, individua una delle sue migliori sequenze nel lungo scontro ad alta quota con i guerrieri ninja, sui monti dell’Himalaya, capace di conferire ulteriormente quel certo sapore da action-movie fine anni Settanta-inizio anni Ottanta volto ad attraversare l’intera pellicola.
Del resto, che dietro la macchina da presa non vi sia più Stephen Sommers ma Jon M. Chu, responsabile del secondo e terzo "Step up", è intuibile sia dal fatto che i momenti d’azione appaiono orchestrati come veri e propri balletti, sia dalla maniera tipicamente orientale con cui gli scontri corpo a corpo vengono privilegiati rispetto al solito abuso di effettistica CGI.
Anche se, in mano al non esaltante regista di "Van Helsing" (2004), fu proprio quest’ultima a garantire la riuscita dell’esagerato, non disprezzabile giocattolone da schermo, qui ridimensionato a guardabile secondo capitolo dal 3D sfruttato in maniera discreta e presentante, almeno, il pregio di essere scandito da un buon ritmo.

La frase:
"Signore e signori, i G.I. Joe".

a cura di Francesco Lomuscio

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