Generazione mille euro
"Qualcosa ci inventiamo". Come da tradizione italiana, l’arte di arrangiarsi è la risposta popolare all’incubo di massa del precariato occupazionale (e - di conseguenza - di vita, in una Repubblica "fondata sul lavoro"). Liberamente ispirato all’omonimo romanzo, fenomeno prima diffusosi su Internet e poi dato alle stampe, il co-sceneggiatore e regista Massimo Venier rispetto al singolo caso delinea 5 differenti figure di trentenni con altrettante modalità di affrontare il problema. E adotta i registri della commedia briosa - in continuità con la sua specializzazione nella risata (a fianco di Gialappa’s Band, Aldo Giovanni e Giacomo, Ale e Franz) – e della rassegnazione. L’impassibile protagonista, che si vuole rappresentativo ("sono un luogo comune"), come strategia per sopravvivere rifiuta infatti sia i sogni che la realtà ("quello che mi succede non mi riguarda"). Perché non solo è un valido matematico costretto a fare l’assistente universitario non retribuito e a mantenersi con un impiego che non gli piace in un’azienda a cui non piace lui, ma in più viene lasciato dalla propria compagna e sfrattato dal fatiscente appartamento che divide con altri inquilini.

"Generazione mille euro" oppone la presunta esattezza della scienza nel prevedere gli eventi alla casualità sovrana, ha interpreti giusti, indovina battute e accompagna uomini alla deriva (c’è chi si barcamena, chi ha paura di perdere il posto, chi è messo alla prova da una multinazionale dove si premia l’abilità a spacciare menzogne e al capo non interessa il giusto o sbagliato, ma ciò che conviene) mentre riconosce la forza delle donne: due affettuose ragazze incarnano entrambi i mondi (professione e cuore, inconciliabili), siano esse solitarie e rampanti oppure guidate dalla passione. Però, pur toccando un contesto di raccomandazioni e flessibilità, taglia fuori la concretezza delle difficoltà e i momenti bui. Con un’inerzia assuefatta e un ottimismo (basato sull’umanesimo e sulla semplice speranza attendista?) che chissà chi - tra quanti soffrono una situazione analoga - condividerebbe.

La frase: "non si usa “esperto di matematica”, ma “cultore della materia”. E’ il metodo che usano all’università per non pagarti".

Federico Raponi

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