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Fango
Fango, del regista cipriota Dervis Zaim, tratta del problema della difficile convivenza tra la popolazione turca e quella greca sull'isola di Cipro.
Un'isola divisa da quarant'anni e martoriata negli anni '70 e '80 dalla guerra civile che solo da pochi anni si è placata. Ora è in vigore un cessate il fuoco che negoziati tra le due parti cercano di trasformare in una pace definitiva e duratura.
In questo clima di relativa tranquillità si svolgono le vicende del film, presentato nella Sezione Controcorrente della 60° Mostra del cinema di Venezia.
E' una storia che ha le sue radici nei marci giorni dei massacri perpetrati sull'isola durante la guerra civile.
Quattro turchi, Ali, Temel, Halil e Aisha, si sforzano, a loro modo, di ristabilire una normalità e di riappacificarsi con il passato. Storie terribili riemergono da quel fango che circonda il lago salato di Cipro, storie di eccidi orribili e di ricordi rimossi. Ma quel fango è anche un balsamo curativo per chi crede nelle sue virtù taumaturgiche e magiche.
Il regista truco cipriota Dervis Zaim confeziona una storia dai contorni grotteschi se non addirittura fantastici. Arrovellata attorno al fango, elemento polimetaforico della colpa e della speranza, della guerra e della pace, la sceneggiatura dopo i primi incerti passi frana con l'incedere dell'opera a cui manca il senso del ritmo e, diciamolo, anche della misura. Si disserta per un'ora e mezza sulle qualità del fango perdendo completamente anche quel minimo di coerenza narrativa necessaria per portare a termine il racconto. Tanto che alla fine si ha quasi l'impressione di essersi persa qualche scena. Solo il finale, tanto tragico quanto inspiegabile, fuga i nostri dubbi circa la possibilità di esserci addormentati durante la proiezione.
Alcuni tentativi sono, per carità, da lodare pur brillando per la loro veleitarietà. Mi riferisco in particolare alla scena della riunione di autocoscienza nella quale si cerca di esorcizzare lo spettro delle atrocità vissute, e perpretate, mediante una sorta di drammatizzazione dei fatti accaduti.
Gli attori, anche loro, non riescono a emergere dalle ingarbugliate intenzioni che informano l'opera, non contribuendo, dunque, ad alzarne il livello.
Belle ed inquietanti le riprese dell'isola brulla e scabra come il sogno di pace mediterraneo che però stenta a nascere e ad evolversi.
Daniele Sesti
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