Fango(cipro 2003)
presentato al 60^ festival di venezia, nella sezione ‘controcorrente’
regia: dervis zaim
cipro, parte settentrionale dell’isola, appartenente all’etnia turca.
un soldato, alì, ammutolito dagli orrori della guerra, e sua sorella, ashia, sono al centro dell’esile ragnatela che costituisce la trama di questo suggestivo film, denso di belle immagini e allusioni etiche.
accanto a loro si muovono altri personaggi che svolgono funzioni simboliche precise e pertanto non possono definirsi marginali: un giovane (temel) è rattrappito in se stesso dal proprio senso di colpa per aver ucciso dei greci in azioni di rappresaglia, per cui non riesce ad oltrepassare il limite di azioni tese a sviluppare, sul piano relazionale e mediatico, un programma pacifista, di cui si avverte l’evidente sterilità, e akmet, l’amante di ashia, che costituisce il contrappunto di temel. tanto il primo si nutre di ideali improduttivi e ridicoli (si pensi all’idea di riunire in un unico contenitore ad azoto liquido, lo sperma congelato dei parenti, sia greci che turchi, di vittime delle reciproche stragi), quanto il secondo è ben calato nella solida realtà di precisi interessi (realizzare il massimo guadagno dalla vendita di un reperto archeologico), guardando con scetticismo agli eventi terribili che devastano l’isola e alle possibilità di risolverli. i film è ricco di simboli e allusioni e riferimenti a situazioni consimili (come non pensare alla palestina?): soprattutto c’è il fango che viene ritenuto miracoloso, in una terra portentosa che può ricostituire organi amputati ed avere una funzione salvifica, mentre non fa che imbrattare coloro che lo usano per spalmarsene il corpo.
e soprattutto c’è la solitudine di una donna – e questo pare davvero il tema centrale del film – la quale viene abbandonata e sacrificata da tutti, in primis dal tanto amato fratello alì, che la manda nel deserto di sale ad eseguire cerimonie esoteriche, incurante della circostanza che la donna sia in stato di gravidanza avanzata, e che a seguito dello sforzo compiuto possa perdere il bambino, come in effetti avviene.
incurante di lei è pure temel, che rifiuta di accompagnarla perché troppo preso dalle sue pseudo-iniziative umanitarie (cerca sponsor svizzeri!) e akhmèt, che scompare per vendere la statua a ricettatori senza scrupoli.
alla fine, ashia, che tra l’altro è medico, decide di farsi immettere nell’utero un embrione congelato, per avere figli che possano ridonarle speranza, ed il film si chiude con un’immagine, che diviene l’icona del film stesso: ashia siede sulla spiaggia, di fronte ad un mare verdastro, con due bambini ed un calco in gesso di una figura femminile seduta, a significare che soltanto nella vita e non nel fango, si può trovare una risposta ai travagli del mondo.
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(8/10)
