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Exodus: Dei e Re











La storia dell’Esodo, che portò il popolo ebraico a liberarsi dalla centenaria schiavitù in Egitto per tornare nella Terra Promessa guidati da Mosè è certamente uno degli episodi più conosciuti della Bibbia. Spesse volte portato sui grandi, e piccoli, schermi, paradigma di un Popolo che delle diaspore e dei ritorni ha trovato una delle proprie cifre caratterizzanti; l’ultima delle quali, il ritorno del popolo di Israele in Palestina alla fine della seconda guerra mondiale, costituisce uno delle cause di più cruento e lungo conflitto del mondo contemporaneo. Come detto, il cinema più volte si è cimentato con una storia dai risvolti quanto epici, quanto drammatici.
Ora, è il turno di Ridley Scott – che inizia la narrazione raccontandoci di un Mosè, glorioso generale delle truppe egizie, preferito dal Faraone il quale non maschera le sue preferenze rispetto a Ramses, il legittimo erede. Per certi versi, potrebbe ricordare l’incipit di “Il Gladiatore”: anche qui c’è un re in declino prossimo alla morte, due successori, una classe dominante decadente e in declino e una massa ridotta in schiavitù. Scott però, con movimenti di macchina veloci e tagli di narrazione che omettono fatti dati per scontato, tralascia la lettura politica della vicenda spostando l’asse sulla personalità e il carattere del protagonista a cui Christian Bale presta le proprie fattezze. L’evoluzione del personaggio che a poco a poco prende coscienza della propria reale identità cammina a pari passo con la conoscenza di un Dio che mai avrebbe pensato essere dotato di tanta concretezza e senso pratico, rispetto alle eteree divinità egizie fino ad allora frequentate.
Un Dio che agisce come la mente di un’organizzazione terroristica volta a sconvolgere l’ordine all’interno di uno Stato per mettere in atto i propri propositi rivoluzionari; un Dio poco incline alla pietà e alla clemenza per il quale il fine va perseguito con ogni mezzo e che non esita a compiere stragi in nome dello scopo. Vediamo Mosè, nei suoi dialoghi silenziosi con il Signore, instaurare con Lui un conflitto che sappiamo perdurerà per tutta la sua esistenza terrena.
E su questa falsariga di un rapporto di aspra relazione si innestano ragionamenti come il libero arbitrio o la continua tensione tra ciò che è giusto e ciò che si deve fare. Ma sono sfumature nell’economia di un film che ha i suoi momenti migliori nella sequenza delle sette piaghe di Egitto o nell’aprirsi delle onde del Mar Rosso (anche se dopo aver visto quelle dei pianeti di “Interstellar, queste sembrano placide cascatelle...”).
Un film con volute limitate pretese, dove Scott mostra tutte le sue qualità di navigato regista ma dove ancora una volta non sfugge alla personalizzazione dello scontro: come nel “Il Gladiatore”, ma anche nel “Le Crociate”, la battaglia, da guerra tra popoli, o classi, si riduce nel duello tra Capi. Ed ecco, dunque, il duello tra Mosè e Ramses, con lo sfondo delle gigantesche onde del mare pronti ad inghiottirli, nonché inseguimenti in perfetto stile hollywoodiano...

La frase:
"Il paradosso è che gli uomini più bravi a conquistare il potere sono anche quelli meno degni di esercitarlo".

a cura di Daniele Sesti

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