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Dark Places - Nei luoghi oscuri











Nel leggere la trama della pellicola che Gilles Paquet-Brenner – autore de “La chiave di Sara” (2010) – ha derivato dal romanzo “Dark places – Nei luoghi oscuri”, scritto dalla stessa Gillian Flynn cui si deve “L’amore bugiardo – Gone girl” trasposto su grande schermo da David Fincher, torna in un certo senso alla memoria quell’”Hates – House at the end of the street” (2012) che vide Eve Lawrence trasferirsi insieme alla madre in una piccola cittadina rurale, per poi scoprire che i vecchi proprietari della casa accanto alla loro erano stati uccisi dalla figlia, in seguito scomparsa lasciando il fratello come unico sopravvissuto.
Perché anche la qui protagonista Libby Day, incarnata dalla vincitrice del premio Oscar Charlize Theron (oltretutto produttrice del film), è l’unica superstite della strage in cui persero la vita la madre e le sorelle e che, proprio a causa della sua testimonianza fornita quando era soltanto una bambina, ha fatto sì che venisse condannato all’ergastolo il fratello Ben, incolpato dell’omicidio.
Un Ben che possiede da giovane i connotati del Tye Sheridan di “Joe” (2013) e da adulto quelli del Corey Stoll di “Ant-Man” (2015) e “Black mass – L’ultimo gangster” (2015), in quanto, mentre la donna viene contattata dal “Kill Club”, gruppo di appassionati di cronaca nera che la convincono a riesaminare gli eventi della notte risalente a venticinque anni prima, è sul continuo alternarsi di passato e presente che viene costruita la oltre ora e cinquanta di visione.
Continuo alternarsi di passato e presente che, con la sua versione bambina dal volto della Sterling Jerins di “World War Z” (2013) e la Chloë Grace Moretz di “Kick-Ass” (2010) coinvolta nei panni della giovane Diondra, non poco importante nello sviluppo della storia, tende, però, ad apparire più volte confuso nel corso dei vari passaggi narrativi mirati a far irrompere nuovi ricordi e vecchi sospetti che – complici sconvolgenti informazioni destinate a venire alla luce – spingono Libby a decidere di tornare ad indagare sul proprio tragico passato e a mettere in discussione la sua stessa deposizione.
Man mano che il Nicholas Hoult di “Warm bodies” (2013) e la Christina Hendricks della serie tv “Mad men” (2007-2015) arricchiscono il cast e che una colonna sonora non priva di pezzi rockeggianti (con Joan Jett nel mucchio) provvede ad accompagnare un insieme immerso in cupe atmosfere che sfiorano l’horror, tanto da non dimenticare neppure di ribadire che Satana, come Dio, richiede sacrifici agli uomini.
Al servizio, purtroppo, di un fiacco e noioso risultato che, penalizzato in particolar modo da una regia decisamente piatta e totalmente incapace di regalare tensione e sussulti di paura, non sembra discostarsi affatto dal marasma di thriller destinati al circuito televisivo estivo... oltre a spingerci ad interrogarci sulla sua effettiva utilità.

La frase:
"Sono piena di rabbia, la sento crescere dentro di me, è il sangue della mia famiglia".

a cura di Francesco Lomuscio

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