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Cosa fai a Capodanno?

La recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com

di Francesco Lomuscio12 novembre 2018Voto: 4.0
 

  • Foto dal film Cosa fai a Capodanno?
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Nei panni di due dipendenti di una ditta di catering immersi in un dialogo sulla sofferenza delle aragoste mentre si preparano per portare il loro carico in uno sperduto chalet di montagna, i primi che troviamo in scena sono Massimo De Lorenzo e Carlo De Ruggieri. Sperduto chalet in cui, a quanto pare, verrà consumata una notte di San Silvestro tra scambisti e dove è diretta, tra gli altri, una coppia di sposi in cerca di emozioni forti costituita da Riccardo Scamarcio e Valentina Lodovini.

Coppia che, in realtà, vediamo soltanto per pochissimi minuti, lasciando spazio ad un piuttosto perverso politico in sedia a rotelle dalle fattezze di Alessandro Haber e alla sua enigmatica accompagnatrice, in possesso di quelle di Vittoria Puccini. Soltanto due degli invitati che, come pure una femme fatale e signora dell’alta borghesia incarnata da Isabella Ferrari e il Ludovico Succio che sembrerebbe essere il suo toy boy, approdano nell’abitazione, in cui vengono accolti dai misteriosi Luca Argentero e Ilenia Pastorelli... prima che si torni a qualche ora prima.

Perché, sceneggiatore, tra l’altro, di “Perfetti sconosciuti” di Paolo Genovese e “L’ultima ruota del carro” di Giovanni Veronesi, al suo debutto dietro la macchina da presa Filippo Bologna decide di costruire la oltre ora e mezza di visione rivelando, fotogramma dopo fotogramma, segreti e verità nascoste nella corsa verso la mezzanotte.
E, con l’interno della dimora a fare quasi da unica scenografia, è evidente che tenda a privilegiare un’impostazione teatrale, ispirandosi chiaramente a “The hateful eight” di Quentin Tarantino, ricordato in maniera evidente anche in un dialogo riguardante la “d” eufonica, come quella muta di “Django unchained”.

Del resto, insieme al modo di fare black comedy di Joel e Ethan Coen, l’autore di “Pulp fiction” rientra proprio tra le dichiarate fonti d’ispirazione del neo regista, che, a partire da questo aspetto, lascia intuire in maniera tranquilla quanto possa essere fastidiosamente pretenzioso e, di conseguenza, fallimentare il suo esordio.
Tanto pretenzioso e con lo sguardo rivolto ai menzionati modelli alti da finire per ritrovarsi, invece, tra i più bassi della nostra peggiore commedia, in mezzo a falli di gomma usati come puntali natalizi e battute decisamente tristi e incapaci di strappare risate per quanto squallide.
Basterebbe citare “Il famoso punto 3G delle donne” o Haber che, osservando il fondoschiena della Pastorelli, le chiede se il segnale lo prende sia su Rai 1 che su Rai 2, ad infarcire un pessimo script non privo di strafalcioni (abbiamo addirittura chi propone di fare l’albero di Natale a Capodanno!!!) e che sfrutta perfino la banalissima carta dei momenti allucinatori.

Man mano che una colonna sonora di vecchie hit spaziante da “Kobra” di Donatella Rettore a “La musica è finita” di Ornella Vanoni cerca probabilmente di conferire quell’aspetto nostalgico che è emozionante quando popolare, ma vintage se, come in questo caso, l’aria che si respira è decisamente radical chic, con tanto di scontatissimi discorsi riguardanti l’immigrazione e i pregiudizi razziali.
Quindi, se l’ottimo “L’ultimo Capodanno” di Marco Risi era popolare nell’essere irresistibilmente pulp e l’irraggiungibile “Vacanze di Natale” di Carlo Vanzina lo era nell’attaccare efficacemente l’Italia degli arricchiti, il film di Bologna non sembra fare altro che incarnare questi ultimi nella loro più noiosa e meno condivisibile quotidianità trasudante difetti e snobismo.


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