Clown
Chi potrà mai dirci se, ai tempi in cui collaborò al thriller “Fuori nel buio” (1988) di Michael Schroeder, incentrato su uno psicopatico mascherato da clown e dedito allo sterminio delle ragazze lavoranti all’interno di una agenzia specializzata in telefonate erotiche, il talentuoso truccatore Tony Gardner avrebbe mai potuto immaginare che, oltre due decenni dopo, si sarebbe ritrovato a prestare le sue capacità ad un altro lungometraggio atto a sfruttare in un clima di tensione la figura del solitamente divertente buffone da circo?
Figura in questo caso rappresentata dall’agente immobiliare Kent, il quale, interpretato dall’Andy Powers della serie televisiva “E.R.-Medici in prima linea”, indossa un costume da pagliaccio per sostituire quello che ha dato forfait alla decima festa di compleanno del figlio Jack alias Christian Distefano; accorgendosi presto, però, di non poterselo più togliere di dosso.
Perché, come spiegato dal Karlsson cui concede anima e corpo il Peter Stormare di “Hansel & Gretel-Cacciatori di streghe” (2013), indumento e parrucca, in realtà, altro non sono che la pelle ed i capelli di un demone che viveva nei ghiacciai per poi attaccare i villaggi, durante i mesi più freddi dell’anno, in cerca di bambini da sgranocchiare.
Quindi, man mano che il protagonista, intento dolorosamente ed inutilmente a strapparsi via il travestimento maledetto, si riduce a sputare sangue e ad assumere le fattezze della creatura e la moglie Meg, incarnata dalla Laura Allen di “Daddy sitter” (2009), tenta in ogni modo di fronteggiarlo, è impossibile non avvertire, tra i fotogrammi, una affascinante allegoria relativa ai “pedo-pericoli” ambulanti cui si trovano quotidianamente esposti i più piccoli abitanti delle nostre apparentemente civili società.
Una allegoria che, come pure la costruzione del film, non può fare a meno di richiamare alla memoria “Jeepers creepers-Il canto del diavolo” (2001) di Victor Salva, cineasta oltretutto segnato proprio da accuse per molestie a minori.
Anche se, affiancato in fase di sceneggiatura da Christopher D. Ford, il regista Jon Watts non privilegia ambientazioni rurali ed evoluzioni on the road, ma si concentra – sotto la produzione dell’Eli Roth autore di “Hostel” (2005) – sul nucleo familiare borghese a stelle e strisce, imbrattandolo nella giusta maniera – e senza esagerare gratuitamente – di liquido rosso e frattaglie.
Ottenendo oltre un’ora e quaranta di altamente coinvolgente visione destinata a migliorare minuto dopo minuto, che, dispensatrice di riuscitissimi momenti di tensione (citiamo solo la sequenza che si svolge nel parco giochi), sebbene possa ricordare (ma molto alla lontana) l’idea di partenza di “Bruiser-La vendetta non ha volto” (2000) di George A. Romero, si rivela in grado di regalare finalmente un originale spettacolo horror al sempre più deluso pubblico d’inizio XXI secolo, spesso costretto a subirsi remake privi di anima ed esorcismi tutti uguali a se stessi.
La frase:
"Solo poche persone conoscono la vera origine di quello che noi chiamiamo clown".
a cura di Francesco Lomuscio
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