To Rome with Love
Cartolina già nel titolo, galleria di notissime macchiette nostrane, l'ultima fatica di Allen ci lascia perplessi e un po' delusi. Da italiani, senz'altro. Ma anche da amanti del suo cinema. Perché questo "To Rome with love" è esattamente quel che appare a una prima occhiata smaliziata... della locandina: una brossure turistica rivolta ad un mercato prevalentemente extra-europeo, ben lontana dalla dichiarazione d'amore realizzata per la capitale francese con "Midnight in Paris". Spiace vedere fior di nomi nazionali sparsi nel nutrito elenco dei partecipanti al cast: se più d'uno, in primo luogo Roberto Benigni, mette le mani avanti e dichiara ai giornalisti: "Non ho ancora visto il film", un motivo ci sarà.
Nella trama, composta d'una manciata di vignette non sempre accostate a dovere, sono intessuti fili ben identificabili: il contrasto tra ingenuo idealismo e concreto edonismo, la fama e i soldi facili, l'inesorabile scorrere del tempo, la vecchiaia, la morte. Chiaramente il buon Woody ci regala, pur celandola sotto una pila di luoghi comuni d'una banalità sconcertante, una sbirciatina al suo subconscio crepuscolare. Non mancano, va detto, siparietti esilaranti e trovate surreali (su tutti, il tenore becchino che gorgheggia esclusivamente sotto la doccia): ma si perdono nella visione d'insieme, macchiata com'è di pressappochismo. A Piazza Navona c'è un Benigni omino comune che sale senza meriti alla ribalta mediatica (peccato sia fuori parte: di "comune" nell'attore toscano ormai non c'è più nulla); a Trastevere c'è un Baldwin mentore-fantasma di Jesse Eisenberg in trasferta universitaria; all'Opera c'è Allen stesso che spera di trasformare il consuocero in una star; e in stazione sbarcano due sposini corruttibili che più che dall'hinterland laziale sembrano arrivare dagli anni Cinquanta. Roma diventa scenografia esotica a cavallo tra gli stilemi dell'altro ieri (la pasta al sugo, la musica lirica, i monumenti imperiali, i parenti religiosi) e quelli di ieri (i nuovi paparazzi, la seduzione televisiva, le prostitute ribattezzate escort, le epifanie imbarazzanti stile Mangia-Prega-Ama). Ringraziamo il cineasta newyorchese per strizzatine d'occhio quali "Non mi psicanalizzare! Lo sai, molti hanno tentato e nessuno c'è riuscito", ma ricorrere al riciclo di mestiere in questo caso non basta. Peccato per lo spreco di talenti.
L'unico stereotipo clamorosamente assente, strano ma vero, è il traffico stradale. Roma, in questa prospettiva, è quella dei viali alberati, delle grandiose rovine decadenti e della luce stucchevole di certi pomeriggi d'ambra. Quella dei pizzardoni ammiccanti (una specie di Sordi look-alike, piccola cosa di pessimo gusto) e dei presepi laici in Piazza di Spagna, con tanto di vocione fuoricampo come inutile cornice. E, ora che sui sette colli diluvia da giorni e i clacson regalano ai romani imbestialiti una colonna sonora terribilmente familiare, ci permettiamo di rubricare certe scene d'idillio capitolino sotto la voce "fantascienza".
La frase:
"Ma nella città eterna niente cambia".
a cura di Domitilla Pirro
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