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Angeli distratti
Entrambe le parti in conflitto parlano di esseri alati. Che per gli iracheni formano schiere, come un muro di protezione su Fallujah (“dimmi americano, ora chi dirà ai bambini che stanotte gli angeli si sono distratti?”), mentre per un marine uno di essi è incarnato dalla fidanzata alla quale scrive. Certo, nella città delle 100 moschee dopo l’attacco dell’esercito USA di loro non se ne vedono tracce, ma soltanto incendi e macerie, bimbi che elemosinano cibo, prigionieri con sacchi in testa, esecuzioni di nemici catturati, resti umani straziati dalle armi al fosforo bianco.
Il produttore, scrittore, sceneggiatore, regista e docente di cinema Gianluca Arcopinto passa al lungometraggio con una docu-fiction composta da quattro parti. Ovvero il racconto sulle celesti presenze (dopo la battaglia sono fiorite leggende di cadaveri profumati per intervento divino), la ricostruzione della reale vicenda vissuta da una donna (che poi è la parte più meccanica, improbabile e stiracchiata, anche se di valenza simbolica), vere riprese di cronaca, interventi di Simona Torretta (una delle due cooperanti italiane rapite in Iraq, che ha proposto l’idea del film ad Arcopinto e collaborato alla stesura del testo), una madre in lutto, un soldato mercenario divenuto pacifista, un medico soccorritore che resta nell’anonimato. Il bianco e nero si alterna al colore e alla luce verde dei visori notturni; il canto dei muezzin agli insulti urlati dai militari, il silenzio agli spari e alle esplosioni, la musica nervosa alle testimonianze sull’impedito esodo dopo l’ultimatum, sui bombardamenti all’uscita dal luogo di culto, sulla detenzione in celle sovraffollate con turni per dormire, torture, cibo avariato lanciato attraverso le sbarre. Nella tragedia, è la considerazione di un soldato a stelle e strisce (“siamo vittime di ciò di cui abbiamo il controllo ma che non conosciamo”) a fornire il quadro riassuntivo del pantano in cui versa questa guerra.
La frase: "La guerra è una condizione di totale negazione della libertà. Non c’è libertà di scelta".
Federico Raponi
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