American Pycho
La nuova pellicola di Mary Harron "American Psycho", tratta dall'omonimo best seller di Bret Easton Ellis, uscito nel 1991 e subito al centro di un caso internazionale per la violenza dei suoi contenuti, è una minuziosa descrizione del clima di yuppismo imperante degli anni '80. A differenza del libro, particolarmente lucido e preciso nella descrizione delle assurde violenze compiute dal protagonista, la sceneggiatura del film, della stessa regista e di Elizabeth Guinevere Turner, è molto più soft. L'attenzione si posa sulle manie di Patrick Bateman (Christian Bale) ossessionato dal voler essere il più bello, il più ricco, il più in vista di tutta Wall Street. Le sue maggiori preoccupazioni sono quelle di apparire sempre in forma perfetta, sfoggiando il miglior abito di alta sartoria italiana, Versace o Armani, di aver il miglior biglietto da visita, con carta filigranata, scritta in rilievo e di un bianco non ben definibile, di cenare sempre nei locali più esclusivi della città.
Questa sua apparente normalità, nasconde, però, una verità sconcertante: il suo desiderio di possesso si spinge tanto da volere anche il sangue delle donne che frequenta, degli amici che invidia. Bateman è un perfido, ha "tutte le caratteristiche di un essere umano, capelli, occhi, mani, ma non un solo sentimento umano, se non l'arrivismo, la voglia di successo". Egli passa dall'essere super controllato, quasi freddo, distaccato ad un omicida spietato che adora ricoprirsi del sangue delle sue vittime, anche se, per non sporcare i suoi magnifici abiti e il suo costosissimo e super tecnologico loft indossa un impermeabile e poggia a terra dei giornali! Ma è proprio questo suo "vizio", la cosa che lo rende particolare, che lo allontana da quella sua voglia di conformismo, da quell'anonimità che altrimenti lo fagociterebbe.
La sua lucidità maniacale lo porta a girare con i guanti di pelle sempre in tasca, a conoscere pezzo per pezzo le canzoni dei suoi artisti preferiti, a distinguere le varie sfumature di bianco di un biglietto da visita, a conoscere con precisione la vita e le "opere" dei maggiori serial killer di tutti i tempi. Tutta questa meticolosità, ad un certo punto, però, cede: quello che abbiamo visto, quegli omicidi, quella violenza, tutto quel sangue, è accaduto davvero o sono solo insane fantasie di un uomo stressato dalla voglia di successo?

"American Psycho" è un film in cui la visione femminile della regista traspare molte volte dalla descrizione dei prodotti di bellezza, a quella degli abiti e dei profumi usati dal protagonista. La colonna sonora, che si avvale delle bellissime musiche originali dei Genesis, di Phil Collins, di Huey Lewis and the News, sottolinea anzi enfatizza ancora di più lo spirito di quel particolare momento storico in cui a dettare legge erano il denaro e l'apparire.
"American Psycho" è una pellicola estremamente curata nei dettagli, sotto ogni punto di vista: lo scenografo Gideon Ponte ha recuperato vecchi videoregistratori e Walkman originali, la costumista Isis Mussenden ha ricreato l'abbigliamento di quel periodo rivolgendosi ai principali stilisti che proprio in quegli anni iniziarono l'ascesa all'olimpo della moda (Versace, Gaultier, Yamamoto, Kenzo).
In conclusione, si può dire che "American Psycho" altro non è che una descrizione agghiacciante, ma non troppo lontana, di una realtà che forse ancora oggi ci appartiene.

Teresa Lavanga

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