Alexander
Che tempi. Sempre più globalizzati se anche l'immortale "Fortuna audax iuvat" del buon Virgilio viene tradotto in inglese "Fortune favors the bold" ed usato come slogan di "Alexander". Di certo è stato molto fortunato Oliver Stone a realizzare il sogno di una vita e a regalare (se trascuriamo un non proprio memorabile tentativo hollywoodiano di quarant'anni fa) finalmente alla storia del cinema un film sul più grande condottiero di tutti i tempi; in quanto alla fortuna cinematografica della pellicola, dopo il flop Usa, chi vivrà vedrà...
E allora si alzi il sipario su Alessandro Magno cioè il Grande, nato nel 356 a.c., figlio di Filippo il Macedone ed Olimpia, o, come vuole la leggenda, addirittura figlio di Zeus, morto a soli 33 anni in circostanze misteriose e che a 25 aveva già conquistato il 90% per cento del mondo allora conosciuto, spingendosi con il suo esercito dalle coste dell'Asia Minore fino all'Hymalaya e all'India senza essere mai sconfitto.
Stone, con l'aiuto dello storico Robin Lane Fox, legge e rilegge la biografia dell'eroe e, fra il prologo e l'epilogo del Tolomeo di Anthony Hopkins, lo lascia per quasi 3 ore in sella al fido Bucefalo fra sensi di colpa per la morte del padre, conflitti edipici con la madre, ambizioni e sete di gloria, violenza e lussi, amori etero e omosex, sullo sfondo del mondo ellenistico e della sua cultura barbara e sofisticata.
Ma mentre l'Aquila che simbolicamente rappresenta Alessandro alias Alexander vola alta nel cielo, le emozioni rimangono a bassa quota, intrappolate in una specie di mega-documentario che farebbe la gioia di Rai Educational, sicuramente molto istruttivo per ripassare la storia e la geografia, ma un po' meno utile per far "volare" anche lo spettatore sul grande schermo. Il quale spettatore se non altro si riempie gli occhi con le straordinarie scenografie (prima fra tutte la ricostruzione della lussureggiante Babilonia con tanto di famosi giardini pensili) e con le battaglie, cruentissime e realistiche (la prima contro i Persiani a Gaugamela e la seconda contro gli Indiani e i loro elefanti) in cui il regista di "Platoon" e "Assassini Nati" si ricorda finalmente di essere un virtuoso della macchina da presa. Persi nell'enfasi dell'onnipresente colonna sonora di Vangelis, si muovono gli attori: Colin Farrell, promosso nella serie A delle Star, offre ad Alessandro la giusta carica animalesca e spirituale; Val Kilmer è un Filippo orbo di un occhio feroce e grezzo, Angelina Jolie è un Olimpia bellissima, esotica ed ambigua (anche se per metà del film paradossalmente più giovane del figlio), mentre Anthony Hopkins finalmente smette di fare se stesso per ricominciare a recitare nelle vesti di Tolomeo.
Forse sarà per i tempi limitati della produzione ( solo 94 giorni ), ma a differenza del Re Macedone, mai sconfitto in battaglia, Stone perde invece la sua sfida cinematografica e non riesce a raccontarci, forse come avrebbe voluto, il genio militare, la rivoluzionaria carica ecumenica e la sfida all'Impossibile del suo Protagonista.
Grande, troppo Grande Alessandro, anche per lui.

Max Morini

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