Il sapore del successo
Il binomio tra spettacolo e cibo si fa sempre più solido e dopo “Le cucine da Incubo” e “Masterchef” in televisione per il secondo anno consecutivo (nel 2014 c’era stato “Chef”) arriva nel periodo natalizio il film per soddisfare gli amanti dell’enogastronomia.
“Il Sapore del successo” di John Wells però probabilmente è più vicino al titolo americano, “Burnt” ossia scottato, rispetto a quello italiano per il risultato: l’opera è una commedia povera di sapore, scontata e a tratti banale. Poco importa se il Gordon Ramsay di turno, impossibile non usare come termine di paragone la leggenda tra gli chef stellati mondiali, è il sex symbol Bradley Cooper nei panni di Adam Jones. Il belloccio di Hollywood indossa la divisa e il cappello da cuoco ed è divertente, seppur poco credibile rispetto al cecchino ammirato in “American Sniper” (2014) o al pazzo de “Il Lato Positivo” (2012). Qui ritrova anche sul set nei panni della propria compagna Sienna Miller, dopo aver lavorato con lei proprio nel biopic sulla vita di Chris Kyle firmato da Clint Eastwood.
Il cast internazionale è arricchito dal nostro Riccardo Scamarcio, seppur in un ruolo davvero marginale e utile solamente al marketing nel nostro paese, Daniel Bruhl e i camei di Matthew Rhys e Uma Thurman.
Lo chef Adam Jones ha perso il suo prestigioso ristorante a Parigi e ora riparte da Londra con il suo genio e la sua sregolatezza pronto a tutto per ottenere la terza stella Michelin. Si può dividere l’opera in due tronconi principali: il primo è scorrevole e leggero, il secondo decisamente più pesante e rovina in parte quanto di buono visto in precedenza. È un film che parla di riscatto e mostra come nelle cucine dei grandi chef non si cucini solamente cibo, ma si compongano delle vere opere d’arte. Adam Jones come Gordon Ramsey grida e tira i piatti se ogni tassello non è al suo posto, in un perfezionismo quasi maniacale volto all’obiettivo di raggiungere la gloria personale. Un uomo bruciato da alcol e sesso in una dipendenza che lo pone alla stregua dei poeti maledetti, ma d'altronde molto spesso l’arte della cucina diventa proprio poesia nella composizione dei piatti.
Il percorso del film è prevedibile, quasi telefonato e diventa noioso in un finale conciliatorio che fa comprendere come attraverso la collettività si possano raggiungere determinati risultati. La cucina si mostra ancora una volta un prodotto di intrattenimento vincente sul piccolo schermo, mentre dopo il già citato “Chef” e, per citare un altro titolo, “Amore cucina e Curry”, mentre possiamo solamente ricordare con nostalgia i bei tempi andati di “Chocolat” (2001).
La frase:
"Cucinare esprime chi siamo, noi dovremmo creare orgasmi culinari".
a cura di Thomas Cardinali
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