1408
Nel corso della proiezione di “1408”, tratto dall’omonimo racconto di Stephen King contenuto nella raccolta “Tutto è fatidico”, il cinefilo più attento arriva sicuramente a chiedersi se al mago dell’horror su carta sia capitato, almeno una volta nella vita, d’imbattersi nella visione di “Danza macabra”, incentrato sulla figura di un giornalista che, in seguito ad una scommessa con Edgar Allan Poe, si trovava a dover trascorrere la notte in una casa popolata da spettri e fantasmi.
Già, perché, nell’idea di base, ricorda non poco la splendida ghost-story diretta nel 1964 dal compianto Antonio Margheriti la vicenda dello scrittore di libri horror Mike Enslin, interpretato dal sempre eccezionale John Cusack (“Identità”), il quale, al fine di concepire quello che spera essere un nuovo bestseller, si rinchiude nella stanza 1408 del famigerato Dolphin Hotel, da tutti considerata infestata, ignorando perfino gli avvertimenti del direttore dell’albergo, con il volto di Samuel L. Jackson (“Pulp fiction”).
E, considerando la presenza dietro la macchina da presa dello svedese Mikael Håfström, recentemente responsabile del mediocre thriller “Derailed-Attrazione letale” (2005), c’era da aspettarsi il peggio.
Invece, a partire dagli interessanti duetti tra i due attori protagonisti, il lungometraggio si rivela immediatamente in grado di catturare l’attenzione dello spettatore, avvolgendolo, tra clima di mistero ed inquietanti apparizioni, in un teso e claustrofobico involucro di follia caratterizzato da pochissime sequenze ambientate in esterni e da un ristretto numero di effetti visivi dosati in maniera sapiente.
Il tutto, sfruttando a dovere un esile soggetto che non avrebbe certo sfigurato al servizio di un episodio delle mitiche serie tv “Ai confini della realtà” e “Tales from the darkside”; mentre la colonna sonora per mano di Gabriel Yared (“Le vite degli altri”), oltre a garantire la consueta dose di spaventi, provvede a commentare efficacemente un racconto per immagini volto con ogni probabilità a ribadire, tramite il genere, l’importanza di convivere con i propri ricordi.
Approdando ad un epilogo che, seppur non troppo originale, finisce per risultare tutt’altro che scontato.

La frase:
- "Bere le piace?"
- "E’ ovvio, le ho detto che sono scrittore".

Mirko Lomuscio

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