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Zombie contro ZombieLa recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com di Francesco Lomuscio29 ottobre 2018Voto: 6.0
Cosa accade se una troupe cinematografica squattrinata decide di mettere in piedi uno zombie movie all’interno di un magazzino abbandonato che fu in passato sede di misteriosi esperimenti militari e che ora, di conseguenza, si scopre infestato da morti viventi desiderosi esclusivamente di sgranocchiare esseri umani?
Se colui che si trova al timone di regia è il giapponese classe 1984 Shin’ichirô Ueda – proveniente dai cortometraggi e dal collettivo antologico sui gatti “Neko bun no 4”, co-diretto da Naoya Asanuma, Ryôsuke Hayasaka e Yûya Nakaizumi – succede che, a cominciare dai primissimi minuti di visione, la tendenza generale è quella di mescolare di continuo la finzione scenica con il reale pericolo, fino all’arrivo dei titoli di coda già dopo mezz’ora (!!!). Perché, se il fuorviante titolo italiano spinge immancabilmente a pensare che gli oltre novanta minuti messi insieme intendano tirare in ballo un sanguinolento match tra le creature che hanno popolato alcuni dei migliori lavori di cineasti del calibro di George A. Romero e Lucio Fulci, è quello angolofono “One cut of the dead” a rappresentare degnamente ciò che è, a tutti gli effetti, un’operazione metacinematografica costata circa ventimila dollari e nata, in realtà, come saggio di un workshop nell’ambito della Settima arte. Operazione che, superata la prima fase di cui sopra, torna narrativamente indietro di un mese per mostrare la stessa troupe impegnata a pianificare il proprio elaborato come un unico piano sequenza in diretta, accentuando ulteriormente il già accennato look di film nel film. Quindi, se la resa delle salme ambulanti e dello splatter lasciava in maniera evidente a desiderare lo dobbiamo al fatto che, fin dall’inizio, era intenzione dell’insieme accentuare il tutt’altro che veritiero clima generale di quella che si rivela una commedia incentrata sul dietro le quinte di un very low budget tempestato di tecnici e artisti decisamente bizzarri, quasi da cartoon di matrice nipponica. Infatti, sono i loro bizzarri comportamenti a regalare buona parte dell’ironia insieme ai sempre più esilaranti stratagemmi atti a svelare come il mediometraggio visto sia stato realizzato nonostante la mancanza di mezzi, tra un ubriaco fatto passare per dinoccolato e barcollante cadavere camminante e una vera e propria gru umana improvvisata per poter concretizzare una inquadratura che sembrava eseguita ricorrendo a un dolly. Ed è l’abbondante ricorso alle riprese eseguite a mano – tanto da trasmettere, a tratti, l’impressione di trovarci dinanzi ad un found footage in pov sulla scia di “The Blair witch project – Il mistero della strega di Blair” di Daniel Myrick ed Eduardo Sánchez – a conferire l’abbondanza di movimento ad un prodotto ritmicamente senza tregua e, a suo modo, geniale, ma che rimane, in ogni caso, un piacevole e divertente scherzo in fotogrammi che è riuscito a disintegrare il box office giapponese con oltre venti milioni di dollari d’incasso (per un totale di quasi due milioni di spettatori). La frase dal film:
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