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Tu, io e Dupree
S'incanta ogni volta vedendo in televisione Audrey Hepburn in "Vacanze romane", film di cui conosce ogni battuta a memoria, si allena con la sua vecchia bicicletta emulando goffamente il suo mito Lance Armstrong, inzuppa costine di maiale nel latte a colazione, non si separa mai dalla sua testa d'alce imbalsamata e ha imparato a fare il sugo da una ricetta vista in "Quei bravi ragazzi".
E si potrebbe andare avanti all'infinito nel descrivere chi è e cosa fa (e non fa) il Randy Dupree del titolo.
Più consapevole delle proprie azioni di Forrest Gump, ma neanche poi più di tanto, in quanto colpito dalla sindrome di Peter Pan, l'eterno bambinone protagonista dell'opera seconda dei fratelli Russo (quelli di "Welcome to Collinwood" e soprattutto del televisivo "Arrested Development") è il classico compagnone/fracassone che rimane scapolo mentre tutti gli amici si sposano, cerca lavoro senza molta convinzione, e, visto il suo grande cuore, non si può non volergli bene, ma.. c'è un "ma".. è proprio su questo "ma" che ruota tutta la commedia in questione: quello che combina involontariamente il biondo svampito Owen Wilson all'amico d'infanzia Matt Dillon, e alla di lui neo-mogliettina Kate Hudson, quando senza una casa e un lavoro si ritrova ospite, o visto il tipo terzo incomodo, nella loro nuova vita di coppia.
Nonostante Wilson sia ormai considerato negli ultimi anni un nome di riferimento in fatto di commedia demenziale (così come la sua combriccola, formata dagli amici colleghi Ben Stiller, Vince Vaughn e Will Ferrell), in "Tu, io e Dupree" le situazioni in cui il suo personaggio si caccia, e gag annesse dunque, appaiono forzate e prevedibili e più che ridere fanno sorridere. Il protagonista di "Due single a nozze" e "Zoolander" ce la mette tutta per dare ritmo ad una storia che invece procede più per una serie di sketch più o meno riusciti che altro.
Come poi purtroppo capita un pò troppo di frequente nelle commedie americane, si affaccia infine l'immancabile morale di fondo "politically correct" che contribuisce non poco ad annacquare quel pizzico di sana e bruciante cattiveria che invece in questi casi non guasta mai.
Tutto sommato un peccato, visto anche il favoloso cast a disposizione: Matt Dillon, che qui conferma come sia servita l'esperienza leggera di "Tutti pazzi per Mary", Kate Hudson, gradevole e spontanea come da copione, e su tutti un redivivo Michael Douglas, qui nei panni del suocero nonché perfido uomo d'affari senza scrupoli. Un piccolo ruolo gustosamente autoironico e autoreferenziale (vi dice niente "Wall Street"?) per un attore che, quando ci si mette sa fare bene il suo mestiere.
La frase: "Ero in Argentina qualche anno fa.. stavano tutti seduti a non fare niente, ed era.. bellissimo!"
Stefano Del Signore
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