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Wolf Creek
Come possono ritrovarti, se non sei mai scomparso?
Così recita la locandina dell'australiano Wolf creek, lungometraggio d'esordio di Greg McLean, proveniente dal mondo del teatro e della pubblicità, presentato al Festival di Cannes 2005 ed a quanto pare ispirato alle sanguinarie gesta di temibili personaggi come l'assassino dei sacco a pelisti Ivan Milat, l'omicida di Peter Falconio Bradley Murdoch e i serial killer di Snowtown, i quali hanno purtroppo provveduto a trasformare l'Australia, considerata un tempo un paradiso per i surfisti di tutto il mondo, in un vero e proprio teatro degli orrori.
Inevitabili, quindi, i rimandi a quel classico della paura su celluloide intitolato Non aprite quella porta (1974), anch'esso ispirato alla figura di un folle realmente esistito, sicuramente uno dei titoli horror più saccheggiati degli ultimi due anni, tra pseudo-rifacimenti come Wrong turn (2003) e La casa dei mille corpi (2003) ed il riuscito remake ufficiale ad opera di Marcus Nispel.
Al centro della vicenda narrata nel film di McLean, girato per mezzo di una videocamera equipaggiata con gli stessi obiettivi ad alta definizione usati per C'era una volta in Messico e Star wars episodio 2 e 3, troviamo le due ventenni inglesi Liz (Cassandra Magrath) e Kristy (Kestie Morassi), le quali si mettono in viaggio, sulla costa occidentale della terra dei canguri, insieme all'amico australiano Ben (Nathan Phillips), il quale inizia presto una storia d'amore con la prima. Però, di ritorno all'automobile dopo aver effettuato un'escursione nel Parco Nazionale di Wolf creek, scoprono che il motore non si accende; inaspettatamente, vengono soccorsi dal misterioso Mick (John Jarratt), il quale li conduce, con il carro attrezzi, alla sua officina, dove i tre si addormentano, intorno ad un falò, mentre egli comincia ad effettuare la riparazione. E l'incontro con l'uomo, purtroppo, si rivela tutt'altro che un evento fortunato, infatti, dopo quasi un'ora di pellicola persa in chiacchiere, nel bel mezzo delle desolate strade rurali, il regista fa risvegliare Liz, legata ed imbavagliata, la quale, nel tentativo di capire che fine abbiano fatto i suoi compagni di viaggio, dovrà vedersela con il sadismo di questa sorta di incrocio tra Mr Crocodile Dundee ed i pericolosi serial killer di cui sopra.
Giunti al finale, però, ci rendiamo conto del fatto che il prodotto che abbiamo appena visto, il cui piatto forte è rappresentato dalle disperate ed inquietanti urla dei protagonisti e dallo stile di regia, quasi documentaristico, che conferisce grande realismo al tutto, infarcito anche di ridicoli risvolti di sceneggiatura, non è altro che l'ennesimo clone del succitato capolavoro di Hooper, ben confezionato ed a tratti efficacemente disturbante, ma assolutamente privo della benché minima originalità e tempestato di riprese a mano, come ormai da anni vuole la moda di certi elaborati indipendenti post-Blair witch project (1999). Oppure, come lo stesso McLean ha dichiarato, sulla scia degli insegnamenti appresi dal Dogma 95, il gruppo di registi danesi guidato da Lars Von Trier, che ha dato il via alla rivoluzione digitale liberando le produzioni dai vincoli dei budget insostenibili.
La frase: "Questo è un coltello!"
Francesco Lomuscio
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