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Vita di Pi











La magia del racconto, del riportare una storia, del tramandare il senso profondo di un’esperienza, sembrano essere le colonne portanti dell’ultima fatica di Ang Lee, "Vita di Pi". Pi è un ragazzino che vive nella parte francese dell’India e che impronta la sua vita, fin da giovanissimo, sulla religione; oltre all’induismo, abbraccia anche islamismo, cristianesimo e buddismo. Pi (interpretato da Suraj Sharma prima e da Irrfan Khan poi) è chiaramente attratto dall’entità divina in quanto tale: attraverso molte religioni può avvicinarsi alla verità in modi differenti e sceglie dunque di praticarle tutte. Suo padre gestisce uno zoo ma deve abbandonare la struttura e trasferire tutti gli animali in Canada. La sua famiglia, moglie e due figli, cambierà vita con lui. Durante il viaggio però, la nave sulla quale viaggiano naufraga e Pi è l’unico a salvarsi. Per più di duecento giorni, il ragazzo si trova a vivere su una zattera in compagnia di una tigre del Bengala che faceva parte del circo del padre.
Il protagonista vive un’esperienza ai confini della realtà che fortifica il suo animo e per la prima volta lo porta di fronte alla presenza divina, che fino a quel momento lui aveva solo cercato attraverso le pratiche religiose. Il film è quasi tutto incentrato sul periodo che Pi trascorre a bordo della zattera: racconta la sua esperienza allo scrittore Yann Martel (Rafe Spall), l’autore del libro da cui il film è tratto. Questo gioco di scatole cinesi intorno al racconto è un interessante espediente che ci porta all’interno di una storia magica e allo stesso tempo "reale". Il regista rende molto bene il contrasto tra l’enorme carico spirituale dell’esperienza di Pi con la tigre e le difficoltà pratiche contro le quali il ragazzo si dovrà scontrare. Fame, sete e istinto di sopravvivenza lo faranno maturare e lo renderanno un uomo migliore, nonché una persona capace di trasmettere la sua fede al prossimo.
La sceneggiatura di David Magee si rivela molto buona: bellissimi alcuni dialoghi e profonde le considerazioni che Pi adulto fa allo scrittore. Ang Lee è un veterano del cinema e in questo caso dimostra di saper gestire bene le nuove tecnologie, soprattutto quelle legate alla spettacolarizzazione: scene come quella de naufragio o delle celebrazioni religiose ci avvolgono completamente grazie a suoni decisamente realistici, che restituiscono bene la reale forza della natura. Un lavoro altrettanto preciso è stato fatto dal direttore di fotografia Claudio Miranda: la vivacità dei colori dell’India è perfettamente rappresentata e dona al film un’aura davvero magica.
"Vita di Pi" è un film atipico innanzitutto per come è costruito: quella che si potrebbe definire "scena madre" occupa più della metà della durata totale; difficile che il racconto si concepisca così, soprattutto per le grandi produzioni. Per questo motivo potrebbe risultare molto noioso per alcuni, riflessivo e illuminante per altri. In ognuno dei due casi, proprio perché contiene elementi insoliti rispetto agli standard cinematografici odierni, non è un’opera che passerà inosservata.

La frase:
"Ho perso la mia famiglia, ho perso tutto, che altro vuoi che faccia?!".

a cura di Fabiola Fortuna

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