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Vieni via con me
Uno degli annali problemi della critica cinematografica, è che quando ci si trova in conflitto di opinioni si giustifichi (e spesso giustamente) il tutto dicendo che dopotutto i gusti sono soggettivi. Ci sono casi però in cui è difficile sbagliare, casi in cui si può parlare addirittura di giudizio oggettivo senza timori di smentita. E' questo il caso di Vieni via con me, un film che davvero non avrà problemi nel mettere d'accordo quella critica e quel pubblico che sventuratamente si è trovato a doverne vedere una proiezione (se poi è stata una scelta, parliamo pure di masochismo).
Ad Ustica, piccola cittadina del NewJersey, l'italo-americana Maria (Mariangela Melato) vive col minore dei suoi tre figli, Santino (Daniele Passaro) un delinquente da quattro soldi sempre accompagnato nelle sue uscite da un paio di amici altrettanto sfigati. Qualsiasi piano essi elaborino la madre di lui involontariamente riesce a farlo fallire, finché i tre si trovano addirittura a dover ricompensare una grossa cifra ad un malavitoso locale al quale hanno fatto perdere un'importante partita di droga.
Carlo Ventura, al suo esordio dietro la cinepresa dopo una vita passata da dialogue coach (colui che aiuta ad imparare lingua o accenti agli attori che devono impersonare personaggi particolari), ha affermato che la sceneggiatura è stata riscritta per ben tredici volte prima che qualcuno l'accettasse. Francamente viene da chiedersi perché non si è arrivati ad una quattordicesima (ma anche quindicesima). Non solo la trama è banale, con snodi narrativi al limite del ridicolo (vecchie fiamme che partono dall'Italia dopo soli quarant'anni senza neppure riuscire a farsi riconoscere, omoni afroamericani che parlano l'italiano come madrelingua come se nulla fosse, gente che riceve pallottolate e che dopo, senza alcun parere medico, si ritrovano direttamente nella camera ardente con tanto di familiari piangenti… e queste sono solo un piccolo campione del "totale"), ma sia le trattazioni dei personaggi che le pseudo "situation comedy" fatte per svagare un po' il pubblico da tale miseria di idee ricadono in tutti i luoghi comuni immaginabili del brutto cinema. Perfino la "iena" Enrico Lucci viene relegata in un piccolo ruolo che in men che non si dica passa dal simpatico all'insopportabile, lasciando le sue tracce anche alla voce indifferente.
Se c'è un dubbio che rimarrà allo spettatore dopo la visione è: ma la Melato che ci fa qui?
Andrea D'Addio
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