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Viaggio in paradiso











Mel Gibson è un attore di successo, regista e sceneggiatore di pellicole coraggiose come "Apocalypto" e "La passione di Cristo" che certo non sono passate inosservate a pubblico e critica, e vincitore di due Premi oscar per "Braveheart". Per la prima volta si cimenta anche nel ruolo di produttore con "Viaggio in paradiso", nel quale lui stesso interpreta il protagonista Driver, uno scaltro truffatore che viene arrestato in Messico dopo un furto di milioni di dollari.
Viene rinchiuso nel particolarissimo carcere di El Pueblito all’interno del quale i detenuti vivono con le loro famiglie, "governati" dalla casata dello spietato criminale Javi.
Gli avvenimenti iniziali ci fanno pensare con sicurezza di stare assistendo ad un action movie ma ben presto subentrano nella trama una serie di contaminazioni di genere che rimescolano le carte in tavola e, però, distraggono non poco da quella che è la vicenda centrale. La sceneggiatura di Perskie Stacy e Adrian Grunberg (regista del film) non ha un impianto ben definito, guarda in più direzioni ma tutte troppo diverse tra loro: la linea comica ha un grande spazio all’interno della trama ma spesso si perde e non funziona, di fatto non si ride mai. Insomma, una miscela di generi che non convivono bene e che anzi, si annullano a vicenda.
A dispetto del contenuto la cui struttura lascia un po’ a desiderare, la regia di Grunberg è sapiente e scorrevole (anche le scene di massa più complesse sono girate molto bene), la fotografia luminosa e dai colori tenui di Benoit Debie è piacevole da guardare; la colonna sonora composta da Antonio Pinto merita una menzione a parte: tipicamente messicana, da mariachi, anima le sequenze di "Viaggio in paradiso" con energia e stile.
Ad una realizzazione davvero interessante si contrappone l’interpretazione di Gibson che quasi delude; l’attore-autore porta sullo schermo un eroe decisamente stereotipato, tipico sniper spietato ma dolce e amorevole con donne e bambini. La relazione che stringe con gli altri due protagonisti del film (il piccolo truffatore e sua madre) è prevedibile dalle prime inquadrature del loro incontro. Per altro, il personaggio di Driver non è caratterizzato a fondo e il volto di Gibson è poco espressivo; anche la sua voce (soprattutto nei brani fuori campo) risulta impostata e poco naturale.
Estremamente interessante invece la location all’interno della quale si svolge praticamente tutto il film, ma anche qui c’è una riserva da esporre: buona l’idea ma mediocre la realizzazione; lo spazio di un carcere così pittoresco si scopre a poco a poco ma si percepisce la costante sensazione che non sia stato sfruttato al meglio.
In conclusione, è difficile dare un parere preciso sul conto di "Viaggio in paradiso", vista la sua continua offerta di spunti accattivanti cui però segue una repentina smentita, con conseguente delusione di chi guarda.

La frase:
"Se voglio sopravvivere qui dentro, devo fare quello in cui sono bravo".

a cura di Fabiola Fortuna

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