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Un viaggio chiamato amore
Cos'è "il brutto"? Uscire dalla sala con la sensazione che ti abbiano defraudato di qualcosa (i soldi per esempio), essere scontenti, avere la certezza di aver visto qualcosa che non ci è piaciuto.
Il problema è capire il perchè, tradurre questa sensazione in parole. Il film di Placido non è piaciuto e questo è profondamente radicato in noi, per i motivi più vari. Prima di tutto la storia piatta e senza alcun mordente scandita dalle poesie di Dino Campana e dalle lettere di Sibilla Aleramo non coinvolge lo spettatore; a questo si aggiunga un prova decisamente mediocre da parte di Stefano Accorsi, probabilmente anche fuori ruolo, che ci dovrebbe proporre un Campana già preda della pazzia, ma che non riesce nemmeno ad urlare in modo convincente: il volume della sua voce aumenta, ma il tono resta costante. Meno male che Laura Morante (Sibilla Aleramo) rimane sempre una grandissima intereprete, anche se poi di fatto non rende un buon servizio all'opera. Il contrasto tra la sua classe e la pochezza del film è disarmanete.
Taccio di alcune palesi sovraesposizioni, che fatico a definire "scelte registiche" o su tagli d'inquadratura in perfetto stile "sceneggiato TV". L'escamotage della divisione tra voci narranti e recitazione diretta ci permette, almeno, di poter assaporare brani di vera poesia (personalmente preferisco Campana alla Aleramo), ed i seni della Morante, ormai diventati un cult dopo il film di Nanni Moretti, aggiungono quel tocco di poesia visiva alle parole dei due artisti.
La narrazione procede su binari paralleli, intrecciando la non facile gioventù della Aleramo - vissuta attraverso la follia della madre ed un'inappagante rapporto con il marito che l'aveva sedotta in giovane età - con la sua attuale passione travolgente per Campana. Una storia d'amore talmente intensa e pervasa dal fuoco della pazzia, che si brucerà lasciando i due svuotati. Campana saà internato, fino alla morte, in un manicomio e la Aleramo intratterrà con lui soltanto un rapporto epistolare.
Resta da chiarire come possa Heidrun Schleff, già autrice del copione de La Stanza del Figlio di Moretti, aver posto la sua firma a questa "cosa". Probabilmete non si è resa conto della differenza tra i due registi (possibile?).
La frase: "Le domande sono noiose se conosci le risposte."
Indicazioni: Gli appassionati fiction possono vederlo per evitare il calcio televisivo.
Valerio Salvi
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