Uno per tutti
“Uno per tutti” è il nuovo lungometraggio di Mimmo Calopresti e vede tra i suoi interpreti Giorgio Panariello (Vinz), Fabrizio Ferracane (Gil) e Thomas Trabacchi (Saro ). Il progetto racconta di una grande amicizia nata quando i tre uomini erano ancora bambini. I protagonisti, dopo anni di lontananza, saranno costretti ad incontrarsi nuovamente a causa di una tragedia che coinvolgerà il figlio di Gil. Legati da un evento drammatico che ha reso il loro rapporto decisamente più freddo e che scopriremo solo nel corso della pellicola, i tre amici cercheranno di darsi man forte per risolvere il ‘presunto’ equivoco che potrebbe costare caro al ragazzo.
Gil è un imprenditore edile, padre di Teo e marito di Eloisa, interpretata dall’attrice Isabella Ferrari. Vinz è un poliziotto che ambisce ad una promozione ed è a prima vista incorruttibile. Saro è un dottore, che tornerà a Trieste dopo aver ricevuto una chiamata da Eloisa.
La pellicola, basata sull’omonimo romanzo di Gaetano Savatteri, inizia con un flashback per poi tornare subito alla realtà. Un espediente che di questi tempi si vede fin troppo al cinema e che a volte provoca confusione nello spettatore, come in questo caso. Le scene, nonostante alcune siano di grande impatto, sono scollegate tra loro (almeno all’inizio), molto lente per il genere cinematografico di appartenenza (il noir) e - spesso - prive di utilità ai fini della narrazione.
Per quanto riguarda le interpretazioni degli attori, a deludere è stata la Ferrari, che, nonostante abbia più volte dimostrato di poter dare vita a ruoli molto differenti tra loro, nel film non riesce a rendere giustizia alla complessità del personaggio. Nato come comico e finora visto solo in ruoli divertenti, Panariello è stato una bella scoperta. Nonostante vedere l’attore in una veste drammatica possa suscitare qualche risatina nel pubblico, in realtà è stato l’unico ad aver interpretato la parte affidatagli in maniera credibile, suscitando anche empatia con il suo personaggio. Fabrizio Ferracane, visto recentemente in “Anime Nere”, che gli è valso la nomination al David di Donatello per il Migliore attore protagonista, ha regalato alcuni dei momenti più simbolici, che non sono riusciti - però - ad innalzare il livello della pellicola. Thomas Trabacchi, invece, sembra non essere entrato completamente nella parte, in quanto non riesce a dare alla sua figura quella forza comunicativa di cui avrebbe bisogno. D’altronde il suo personaggio è estremamente importante e decisivo e, come tale, dovrebbe suscitare un maggiore impatto nel grande pubblico.
I flashback, che spezzano continuamente la narrazione del presente, sono una delle poche qualità del lungometraggio, in quanto - oltre ad aiutare lo spettatore a comprendere ciò che è realmente accaduto e, quindi, il motivo di determinate dinamiche tra i protagonisti - riescono a dare un senso al racconto, che via via diventa sempre più chiaro.
Nonostante ciò, la colonna sonora che accompagna le immagini risulta inadeguata e la sceneggiatura diviene sempre meno credibile man mano che le scene si susseguono.
I discorsi presenti , se così possiamo chiamarli, sono brevi e basati su un continuo botta-risposta degli attori, che porta chi guarda ad annoiarsi perché si ha la sensazione di assistere a dibattiti inconclusi e privi di continuità.
Molti sono i temi trattati nella pellicola, a partire dal rapporto genitoriale, molto forte soprattutto tra padre e figlio, fino ad arrivare al senso di colpa, che avrà il suo culmine nel finale. Tra gli altri, troviamo anche quelli della fiducia e della lealtà tra amici e non, ma tutti questi messaggi non vengono mai esplorati fino in fondo, nonostante ci sia la volontà di farlo.
Nel finale la soluzione sembra a portata di mano, ma sarà la scelta giusta o ci sarà una nuova svolta?
La frase:
- "Dove vai?"
- "A fare quello che dovrebbe fare qualcun altro".
a cura di Rosanna Donato
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