Un matrimonio da favola
Una volta superati i titoli di testa animati e commentati da “Mi mi mi” delle Serbero, Ricky Memphis è il futuro sposo della situazione, il quale, in occasione dell’imminente matrimonio a Zurigo con Andrea Osvart, figlia del noto banchiere per cui lavora, convoca nella città svizzera i quattro amici di liceo che, inseparabili ai tempi di scuola, finisce per rivedere soltanto oltre vent’anni dopo gli esami di maturità.
Quindi, i primi due che troviamo in scena sono Adriano Giannini, guida turistica e seduttore, ed Emilio Solfrizzi, titolare di un negozio di borse che tradisce con la giovane Ilaria Spada la moglie Paola Minaccioni, temibile avvocato divorzista.
Poi, è il turno del tenente dell’esercito Giorgio Pasotti, fidanzato con Luca Angeletti e che tiene nascosta la propria omosessualità ai suoi ex compagni di scuola, tra i quali una Stefania Rocca convolata a nozze con il pignolo perito d’assicurazione Riccardo Rossi.
E, sotto la regia di Carlo Vanzina, che firma anche la sceneggiatura insieme all’inseparabile fratello Enrico e all’Edoardo Falcone già al loro fianco per lo script di “Mai stati uniti” (2013), è proprio la sorprendente prova di quest’ultimo, impegnato a mostrarsi simpaticamente insopportabile, a rappresentare uno dei maggiori pregi della oltre ora e mezza di visione, destinata a coinvolgere anche Roberta Fiorentini e Max Tortora nei panni della madre e dello zio del protagonista.
Una coppia di personaggi tanto cafoni quanto divertenti immersi nel tanto apparentemente lindo quanto marcio universo dei ricchi, perché, come avvenuto in buona parte dei lavori appartenenti alla filmografia vanziniana, la festa in questione non rappresenta altro che la giusta occasione per inscenare l’ennesimo scontro sociale su celluloide tra due diversi ceti dello stivale tricolore.
Giusta occasione che, strizzando qui l’occhio sia ad “Immaturi” (2011) di Paolo Genovese che a “Compagni di scuola” (1988) di Carlo Verdone, oltre che all’intramontabile modello d’oltreoceano “Il grande freddo” (1983) di Lawrence Kasdan, non solo non manca di regalare abbondanza di risate allo spettatore, ma, in mezzo a corna ed equivoci sempre in agguato, non dimentica neppure di tirare in ballo malinconiche parentesi-riflessioni tipiche dei figli di Steno.
Non a caso, sarebbe sufficiente citare il dialogo in cui la Spada ricorda a Solfrizzi la sua tutt’altro che confortante situazione lavorativa per evidenziare la maniera nella quale i fratelli Vanzina riescano sempre a manifestare una certa sensibilità nei riguardi dei sacrifici che affliggono la classe operaia... pur introducendoli in un contesto “leggero” e, in questo caso, al servizio di una delle loro migliori prove d’inizio XXI secolo.
La frase:
"La nostra vita non dipende da noi, c’è un destino".
a cura di Francesco Lomuscio
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