Un giorno della vita
"Ho scritto questa storia pensando ad un film francese della nouvelle vague che anni fa mi aveva particolarmente colpito: ‘I quattrocento colpi’ di François Truffaut".
A parlare è Giuseppe Papasso, documentarista e saggista che, dopo oltre vent’anni di regie, firma con "Un giorno della vita" il suo primo lungometraggio cinematografico, in effetti, facilmente accostabile, soprattutto per quanto riguarda la tipologia di storia raccontata, al capolavoro diretto nel 1959 dall’autore de "I baci rubati".
Ma, a partire dalla bella fotografia di Ugo Menegatti ("Sound of Morocco") e dalle efficaci musiche di taglio morriconiano ad opera di Paolo Vivaldi ("Ghost son"), è soprattutto il cinema di Giuseppe Tornatore a tornare alla memoria durante la visione, tanto più che il dodicenne lucano protagonista, ottimamente interpretato dall’esordiente Matteo Basso, si chiama Salvatore proprio come il piccolo Totò Cascio di "Nuovo Cinema Paradiso", al quale è accomunabile anche a causa della sua grande passione per la Settima arte.
Passione che, già dalle prime immagini, sembra spingere Salvatore, abitante nella Basilicata del 1964, a raggiungere ogni giorno in bicicletta il vicino paese per poter assistere ai film di una saletta di terza visione; fino al momento in cui l’annuncio della vendita di un vecchio proiettore 16 mm gli fa nascere l’idea di creare un piccolo cinema.
Ed è da qui, con Maria Grazia Cucinotta nei panni della madre del bambino e Alessandro Haber in quelli di un giornalista, che Papasso provvede ad immergere una storia rurale tutta italiana nella pagina dei ricordi tricolori, tra vecchi hit trasmessi alla radio, "La dolce vita" di Federico Fellini visto come film scandaloso da vietare ai minori di diciotto anni, la valorizzazione delle sale cinematografiche parrocchiali e la scomparsa di Palmiro Togliatti.
Perché sono proprio la Chiesa e la politica, rappresentate dal sempre grande Ernesto Mahieux nel ruolo di un parroco e da Pascal Zullino ("Il rabdomante") in quello del contadino comunista severo padre di Salvatore, a manifestarsi quali alternativi interessi atti a distogliere il piccolo protagonista da quel luminoso schermo che lo fa sognare quotidianamente.
Perché "Un giorno della vita" è principalmente una favola per sognare, una tutt’altro che noiosa favola per sognare che, pur senza eccellere, risulta raccontata e diretta con professionalità, tanto da non avere nulla da invidiare a produzioni più lussuose ed ambiziose.
Come quelle sfornate dal succitato Tornatore, per esempio.

La frase:
- "Io in settantacinque anni al cinema non ce so’ mai andata"
- "Ma i tempi cambiano nonna"
- "E so’ cambiati male".

Francesco Lomuscio

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