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Un boss in salotto











Nel 2002 Luca Miniero e Paolo Genovese debuttano sul grande schermo con un film, “Incantesimo napoletano”, incentrato su di una bambina che, senza alcuna spiegazione logica, benché fosse nata a Napoli rigettava la cultura partenopea, a partire dal dialetto. A distanza di dodici anni quel duo registico non lavora più assieme, ma certe intuizioni rimangono intatte, come dimostra “Un boss in salotto” nuovo film del solo Miniero. Stavolta a prendere le distanze dalle sue origini campane non è una bambina, ma una madre di famiglia che da parecchi anni abita a Bolzano. Dietro il suo atteggiamento non c’è nulla di fantastico, ma una scelta ragionata, frutto di un tormentato passato che l’ha portata a rinnegare tutto ciò che la legava al sud d’Italia, a partire dal nome Carmela, ormai non più utilizzato, in favore del più neutro Cristina. Il salto nel passato però è obbligato quando, a sorpresa, il fratello decide di scontare nella casa di lei gli arresti domiciliari in attesa di un processo. Né il marito, né i due figli, sanno dell’esistenza di Ciro. Pensano che sia morto quando era giovane e mai avrebbero immaginato che fosse un camorrista. La verità però ormai ha bussato alla porta e tanto le loro vite quanto quelle della piccola comunità che gli sta intorno ne saranno stravolte...

Replicando un espediente comico già utilizzato in passato e unendoci quello del forestiero trasportato suo malgrado dalla parte opposta dell’Italia (come in “Benvenuti al Sud” e “Benvenuti al nord”), Luca Miniero firma un film che, prima di tutto, non brilla per originalità. Non è un male, non tutti i film che vogliono far sorridere devono brillare per trama, basta poi che le gag siano costruite bene. In questo caso l’obiettivo è raggiunto a fasi alterne. Alcuni momenti sono godibili, altri completamente anonimi, altri addirittura danno l’idea di un potenziale non sfruttato appieno, a partire da Rocco Papaleo. Il film scorre via senza annoiare, ma manca un cambio di marcia, non c’è nessun picco né da un punto di vista comico né drammaturgico, tutti i fili della storia lasciati in sospeso vengono risolti in maniera sbrigativa tanto che persino il conciliante finale colmo di buoni sentimenti familiari arriva quasi all’improvviso esplicitando a parole la morale della favola (tutti i personaggi recitano un forzato mea culpa in cui identificano esattamente ciò che sbagliavano). Ci sono dei momenti in cui Miniero osa di più toccando il grottesco (come la discesa negli inferi del personaggio di un Luca Argentero quasi licenziato), ma sono momenti buttati lì senza alcun prima né dopo. Peccato, si poteva osare di più.

La frase:
-"E’ napoletano?"
-"Rumeno".

a cura di Andrea D'Addio

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