Una vita nel mistero
La prima impressione che si prova dinanzi al lungometraggio d’esordio – realizzato con il patrocinio del comune di Manfredonia – di Stefano Simone, proveniente dall’affollatissimo universo dei corti indipendenti, è quella di trovarsi alle prese con la visione di uno dei cosiddetti lacrima-movie, i quali individuano uno dei loro massimi esempi ne "L’ultima neve di primavera", diretto nel 1973 da Raimondo Del Balzo.
Infatti, dopo l’apertura accompagnata dalla frase del teologo francese Blaise Pascal "Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce", è con Angelo Sormani che facciamo conoscenza, il quale, con le fattezze di Tonino Pesante, scopriamo presto essere afflitto dal pensiero del tumore maligno al seno che, a quanto pare, potrebbe portare presto alla morte la moglie Antonietta, interpretata da Dina Valente.
Ma, per la fortuna dello spettatore, la vicenda non impiega molto a prendere tutt’altra piega, tirando in ballo nella vita dei due protagonisti quelli che, se inizialmente non sembrano altro che fatti casuali, non tardano a rivelarsi fenomeni legati alla devozione verso Padre Pio.
E, al di là della presenza di altri personaggi secondari, sono le non disprezzabili musiche proto-Vangelis di Luca Ariemma ad accompagnare i circa 86 minuti di visione che, pur sfoggiando qualche economico effetto visivo al fine di rendere al meglio i vari accenni da thriller ultraterreno, rientrano in maniera evidente nel filone delle opere biografiche (il film è ispirato a una storia vera) incentrate sul tema della fede.
Circa 86 minuti di visione i cui difetti possono essere al massimo ricondotti ad una recitazione non sempre convincente e alla qualità visiva del digitale che, come spesso avviene nel caso delle operazioni a basso budget, finisce per conferire all’insieme un look generale che lo rende non troppo distante da quello che caratterizza le soap tv.
Per il resto, complici il montaggio e la camera di ripresa sfruttati nella giusta maniera, l’esordio di Simone, nonostante i lenti ritmi di racconto, coinvolge e non annoia affatto, dimostrando di funzionare a dovere dal punto di vista narrativo. Come dovrebbero fare tutti i prodotti destinati al grande e piccolo schermo.

La frase: "Ho avuto paura, lo ammetto, all’inizio ho pensato si trattasse di qualcosa di diabolico".

Francesco Lomuscio

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