13dici a tavola
Giulio (Giancarlo Giannini/Pasqualino Settebellezze, Hannibal) torna nella casa dove sono conservati i ricordi della sua infanzia, dopo molti anni. Rientrare in quel luogo lo catapulta indietro nel tempo fino alla mitica estate del '64, anno in cui...
Enrico Oldoini torna al cinema con questo "13dici a tavola" dopo qualche anno di esilio televisivo trascorso a dirigere le serie "Dio vede e provvede" e "Don Matteo". "Si dice che ogni autore mette sempre qualcosa di sè in quello che fa. E io che non sono un regista esordiente, eccomi qua a raccontare una storia che attinge a piene mani dalla mia stessa storia", spiega il regista commentando il suo film semiautobiografico. Nato a La Spezia nel '46, Oldoini comincia il suo iter cinematografico da sceneggiatore per film quali "Così come sei" di Lattuada e "Io, chiara e lo scuro" di Ponzi. La sua opera prima è del 1984, "Cuori nella tormenta" con Carlo Verdone, Lello Arena e Marina Suma.
Lasciate ogni speranza o voi che entrate (al cinema, naturalmente), ovvero benvenuti nella fiera delle banalità. Pellicole sugli anni '60 se ne sono fatte a profusione, più o meno riuscite, ma le nostre pupille raramente hanno catturato immagini così deleterie. Dal ragazzino timido in piena fase adolescenziale al nonno guru ex giocatore d'azzardo, dall'amichetta di famiglia (che non si sa da dove viene) bella e intrigante al cugino introverso come James Dean, che ha tutte le carte in regola per portarsela a letto. Il tutto infarcito di canzoni anni '60 quali "Non ho l'età" e "Mi sono innamorato di te" ballate stretti, stretti e lambrette in giro per la campagna.
L'apice dell'ovvietà viene raggiunta con la classica "prima volta" sotto la pioggia, chiusi dentro la macchina bloccata nel fango. Tutta questa "carne al fuoco" non basta per fare un film, manca la poesia, la capacità individuale di un regista nel fare di tutti questi ricordi un viaggio personale ed originale. Qualcosa che sia unico, coraggioso e al tempo stesso malinconico. Se gli anni sessanta si fossero fermati a queste cose non sarebbe valsa la pena viverli. La capacità di un cineasta sta nel raccontare allo spettatore un mondo che solo attraverso il suo filtrare ha ragione di esistere e non soffermarsi ai luoghi comuni.
Nel press-book che ci hanno consegnato prima di entrare in sala, c'è una frase di Oldoini nella quale dichiara di essersi ispirato al Bergman de "Il posto delle fragole". Ma stiamo scherzando? Il problema di gran parte dei cineasti italiani è che pensano di essere dei grandi, ma in realtà, grazie anche a questi film, non possono che rimanere dei piccoli.

Renato Massaccesi

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