Three dollars
"I problemi degli uomini hanno tre cause: i soldi, le donne ed entrambi" diceva il famoso comico statunitense Johnny Carson. Una considerazione interessante sulla quale saranno senza dubbio concordano Elliott Perlman e Robert Connolly, rispettivamente autore e regista di "Three Dollars"date le avventure che il loro protagonista si trova affrontare. Origine letteraria (dal titolo omonimo) quella di questo film australiano che arriva in Italia grazie all'attenzione che Domenico Procacci e la sua Fandango riservano da sempre al cinema della "terra dei canguri" (meno di un mese fa è uscito "10 canoe").
Eddie è un ingegnere biochimico cui è stato affidato il compito di valutare le condizioni di edificabilità di una vasta area al centro della nazione. I dubbi che i pesticidi usati in passato su quel terreno possano impedirne la vivibilità della zona, mettono Eddie in contrasto col proprio nuovo capo al ministero, desideroso invece di dare il via libera. Eddie però non vuole mettere da parte la propria integrità, ma non può permettersi di perdere il lavoro, dopo che alla moglie Tanya non hanno rinnovato il contratto...

L'Australia, come gli Stati Uniti, è terra di emigranti, ma la bassissima densità di popolazione (2 persone per Kilometro quadrato) fa si che gli insediamenti e l'industrializzazione del territorio siano tuttora in rapido sviluppo. Una ancora povera per essere di "cultura occidentale", dove nessuno si sente padrone dei luoghi e la "decadenza" (e corruzione) del mondo capitalistico è arrivata prima di quegli apici di benessere registrati invece in altre nazioni "analoghe". Il film di Robert Connolly (già autore del buon "The bank") cerca di dare questo spaccato sociologico seguendo le gesta del suo protagonista integerrimo, cui competenza, onestà e amorevolezza nei confronti del prossimo, non bastano per rimanere a galla. Se c'è una soluzione è nel destino, in una conoscenza (Amanda) che dopo ogni 9 anni e mezzo si ripresenta sempre in situazioni differenti...
A limitare purtroppo il godimento di questi "messaggi" ci pensa una sceneggiatura poco organica, che tra digressioni troppo lunghe (non è necessario dire sempre tutto!) ed un abuso di flashback finiscono col rendere confusa una storia invece abbastanza lineare. E se la prima parte è tinta di un humour verbale un pò alla Woody Allen (con tanto di citazione dello sgabuzzino di "Zelig"), il film poco a poco si piega su se stesso fino a diventare una sedia smontabile fatta di pesante acciaio, complice anche un doppiaggio da cartone animato giapponese.

La frase: "Non devi aver paura di frugare tra i rifiuti, la vera sporcizia la gente se la tiene in casa".

Andrea D'Addio

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