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Thor: RagnarokLa recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com di Francesco Lomuscio18 ottobre 2017Voto: 5.5
Un re saggio non cerca mai la guerra, ma deve sempre essere pronto quando arriva.
È uno scontro con il demone del fuoco dall’aspetto satanico Surtur ad introdurre il terzo lungometraggio cinematografico interamente dedicato all’asgardiano biondo dei fumetti Marvel che, ancora una volta incarnato dall’idolo delle donne Chris Hemsworth, abbiamo avuto modo di vedere in azione anche nelle avventure collettive da grande schermo di quei Vendicatori meglio conosciuti come Avengers. Lungometraggio che, volto a ribadire che Asgard non è un luogo, bensì un popolo, vede Thor, imprigionato sul pianeta Sakaar e privato del suo possente martello, che tenta in ogni modo di tornare nella dimora degli dei asgardiani per fermare la pericolosa Hela alias Cate Blanchett ed impedire la distruzione che verrebbe provocata dal Ragnarok, leggendaria battaglia tra le forze delle tenebre e quelle della luce. E, se da un lato ritroviamo in scena sia Tom Hiddleston nei panni di Loki che Idris Elba in quelli della sentinella asgardiana Heimdall, fanno la loro entrata nuovi personaggi quali la guerriera Valchiria di Tessa Thompson, il bizzarro Gran Maestro di Jeff Goldblum, il cui passatempo preferito è far duellare forme di vita inferiori all’interno di un’arena intergalattica, e il guerriero Skurge di Karl Urban, che non manca di sfoderare ironia fin dalla sua prima apparizione. Ma, tra immancabile, esilarante cameo per il genio marveliano Stan Lee e una grottesca rappresentazione teatrale de “La tragedia di Loki di Asgard” (!!!), è proprio l’eccessivo ricorso all’umorismo a penalizzare il film diretto dal neozelandese Taika Waititi, che, oltre a nascondersi dietro le fattezze del roccioso gladiatore Korg, sostituisce dietro la macchina da presa il Kenneth Branagh responsabile del fiacco capostipite e l’Alan Taylor che si occupò nel 2013 del riuscito sequel “Thor: The dark world”. Riuscito sequel destinato a rimanere il tassello più coinvolgente di quella che, almeno per ora, è una trilogia; in quanto, come già accennato, queste nuove due ore e dieci di visione arrivano a sfiorare i connotati di una barzelletta in fotogrammi tirata per le lunghe a causa della continua propensione da parte dello script di infarcirsi di battutine e gag neanche troppo divertenti. La inevitabile, negativa conseguenza della non molto convincente tendenza intrapresa dai cinecomic degli anni Dieci del ventunesimo secolo, sempre meno mirati a prendersi sul serio e continuamente intenti a strizzare l’occhio al pubblico dei teen-ager cui, probabilmente, strappa risate il fatto che il dio del tuono commenti imbarazzato le invidiabili dimensioni del membro di un nudo incredibile Hulk fuori campo (!!!). L’incredibile Hulk che, nuovamente interpretato da Mark Ruffalo, intraprende con il protagonista anche un duello nell’arena di cui sopra, nel corso di una delle rare memorabili sequenze di un terzo capitolo incapace di camuffare la propria pochezza di fondo sia dietro il tripudio di stancanti effetti digitali che tramite il banale sfruttamento della già troppo sfruttata “Immigrant song” dei Led Zeppelin in un paio di momenti di combattimento. La frase dal film:
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