Le valige di Tulse Luper - La storia di Moab
Le avventure picharesce di Tulse Luper (J.J. Feild), studioso, naturalista, collezionista, scrittore e quant'altro vengono divise in sedici episodi, come le prigioni in cui è stato rinchiuso. Alcuni esperti hanno ricostruito il suo percorso inscatolato in novantadue valigie disseminate in tutto il mondo durante il ventesimo secolo prendendo come punto di riferimento una delle scoperte più importanti di questi cento anni, l'uranio. Avventura picaresca anche per Peter Greeenaway questo "Tulse Luper Suitcase: the Moab story", primo di una serie di film dedicato a questo personaggio misterioso. Luper, come un alter ego di Greenaway (anche lui grande catalogatore), si rivela al mondo lasciando queste valigie con memorie importanti sin dalla prima quando all'età di dieci anni, dopo aver distrutto un muro, viene rinchiuso da suo padre in una carbonaia e per sottolineare quel passaggio riempie una valigia appunto di carbone. Non solo le valigie segnano la vita di Luper, anche le prigioni. Nell'arco della sua vita se ne conterebbero sedici, sin dalla prima, quella indotta dal padre, sarà un destino maledetto, sembra che questo personaggio per il suo estro e interesse alla vita lo si voglia rinchiudere per forza in una cella, come se il suo atteggiamento non fosse ammesso dalla società che violenta o no, deve essere in qualche modo redentrice.
Dopo il calo di tono di "Otto donne e mezzo" Peter Greenaway riprende il discorso (immaginario naturalmente) di "The Pillow Book". Certo parlare o recensire un opera del cineasta (e non solo) inglese è una prova assai ardua. Vorrei, per questo, mettere subito i puntini sulle i non solo perché secondo il regista "i critici recensiscono solo se stessi", ma quello che vi parla (o scrive) ammira le sue pellicole radicalmente. Certo, un recensore dovrebbe essere al di fuori delle parti, ed è quello che cercherò di fare, ma, semplicemente, quello sto cercando di dirvi è che se vi piacciono i film da blockbuster e intendete il cinema solo come mero divertimento non andate a vedere questa pellicola. Queste due ore e passa di immagini su immagini, storie su storie, frasi su frasi, valigie su valigie, sono tutto quello che il cinema dovrebbe essere arrivati a questo punto, cioè dopo centosette anni. La cosa tragica è che solo Greenaway ci è arrivato (oltre a Lynch con altri parametri naturalmente), gli altri sono banalissimi narratori.
A chiunque piace il cinema come forma d'arte, a chiunque è aperto al mondo ed a tutte le sue espressioni, a chiunque non abbia paura delle trasmutazioni cerebrali, bene "Tulse Luper" è per voi. Non lasciatevi impaurire perché se una sola mente è riuscita a trovare i soldi per questa follia visiva fatta di novantadue valigie, orge nazifasciste, prigioni, giocattoli, lettere d'amore, mormoni minorenni, pornografia vaticana, e quant'altro si possa mettere dentro quel rettangolo chiamato fotogramma allora perché non usufruirne riempiendoci la materia cerebrale. Forse la follia è l'unica via per il paradiso. E tutto questo l'ho detto rimanendo al di fuori delle parti, eh.

Marco Massaccesi

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