L'albero
La conosciamo già la francese Julie Bertuccelli, la regista di Da quando Otar è partito (premio Semaine de la Critique a Cannes 2003).
Già nel suo film d’esordio aveva analizzato con grande pietas e lirismo l’elaborazione di un lutto. Partendo dal romanzo di Judy Pascoe, Our Father Who Art in the Tree, ambienta nel Queensland australiano un’altra vicenda in cui una famiglia, dopo la morte di uno di loro, deve riuscire a ritornare alla vita.
Succede tutto molto in fretta, perché il destino è sempre dietro l’angolo, pare rammentarci la Bertuccelli. Dopo alcune scene in cui si sottolinea l’esistenza che scorre amorosa e armoniosa di una famiglia, gli O’Neill, una coppia sposata da quindici anni, quattro figli, in intimità e comunicazione che nulla sembrano poter scalfire, un giorno Peter, il padre, muore d’infarto davanti ai suoi figli, perdendo il controllo del piccolo furgone che sta guidando e finendo contro un enorme albero di fico. Da quel momento assisteremo alle differenti modalità con cui i membri della famiglia affrontano la perdita. Dawn, la moglie, pare essere la più vulnerabile, non trova più un senso alla vita, trascura la casa e fatica perfino ad alzarsi dal letto. Simone, otto anni, la terzogenita, ha invece un suo segreto, che confida alla madre: il padre si è reincarnato nell’albero contro il quale è morto e instaura con la bambina lunghi colloqui, fatti di sussurri e sospiri. Dawn inizia ad attaccarsi a questa interpretazione, perfino quando incontrerà un altro uomo, George, che potrebbe essere per lei l’inizio di un nuovo sentimento.
Ma l’albero si intrufola nella casa della famiglia, abbattendosi in parte contro di essa. Finché le radici arrivano a essere così invasive, a causa della siccità, da diventare un pericolo e si imporrà una decisione: l’abbattimento dell’albero.
La comunione tra uomo e natura è il tema centrale del film, unito a quello, inestricabile, della vita e della morte. Julie Bertuccelli era intenzionata a portare sullo schermo Il barone rampante di Italo Calvino (che si svolge su un albero, da cui il protagonista non vuole più scendere) ma problemi di diritti ne hanno impedito la realizzazione filmica. Il romanzo di Judy Pascoe pareva avere le caratteristiche che la Bertuccelli andava cercando, una Natura che si impone come madre e matrigna, in cui l’uomo non è che uno dei tanti organismi viventi, in un equilibrio che si deve perseguire, parti di un disegno più grande. L’Australia più selvaggia è stata lo sfondo ideale, con paesaggi di cui non si vede il limite, cieli immensi, vento furioso e oceano. Un film animista con accenni paranormali, in cui si indicano le anime più semplici come ideali ascoltatori dei messaggi dell’aldilà e della natura stessa: fronde agitate dal vento, sospiri. Sarà la stessa natura a costringere tutti alla scelta, tra la vita o il ricordo di essa. Una pellicola di forte impatto emotivo, che trasuda sensibilità e finezza. Eccezionale prova del cast. Su tutti Charlotte Gainsbourg e Morgana Davies, straordinaria bambina di otto anni in grado di rubare la scena a un Palma d’oro come Charlotte.
La frase:
"Bisogna scegliere se essere felici o tristi, e io ho scelto di essere felice".
a cura di Donata Ferrario
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