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These Final Hours - 12 Ore alla fine











Pare che la stesura della prima bozza di script del quinto lungometraggio diretto dall’australiano Zak Hilditch, evoluzione del suo short “Transmission” (nominato come miglior film agli Australian Academy of Cinema and Television Artis Award del 2013 e vincitore del premio per la migliore sceneggiatura), sia coincisa con la visione di un video animato di dieci minuti su YouTube che mostrava – rappresentando la devastazione del pianeta progressivamente sbucciato come un’arancia nell’arco di ventiquattro ore fino a diventare una palla di fuoco – cosa sarebbe accaduto se la Terra fosse stata colpita da un asteroide.
Non a caso, provando ad immaginare l’Australia come uno degli ultimi luoghi del globo terrestre colpiti da una catastrofe simile, il regista ha deciso di raccontare sullo schermo le ultime dodici ore prima che un evento catastrofico cancelli la vita come tutti la conosciamo.
Dodici ore nell’arco di cui James, interpretato dal Nathan Phillips di “Wolf creek” (2005) e “Snakes on a plane” (2006), si impegna ad attraversare le strade di una città ormai senza legge per poter trascorrere il tempo che gli rimane partecipando alla festa delle feste e celebrare la fine del mondo.
Festa a cui, però, si trova costretto a dover portare anche la piccola Rose, ovvero la debuttante Angourie Rice; la quale, alla disperata ricerca del proprio padre, viene salvata dal protagonista che finisce progressivamente, a sua volta, per prendersi cura di lei divenendone, di fatto, il genitore che era così riluttante ad essere.
Perché, man mano che fanno la loro entrata in scena più o meno bizzarri personaggi, comprendenti una donna fuori di testa con le fattezze di Sarah Snook al party proto-orgia, anziché concentrarsi principalmente sull’azione l’insieme privilegia lo sviluppo graduale del rapporto tra la bambina e l’uomo, mai come prima obbligato ad affrontare le responsabilità dell’età adulta, sebbene faccia di tutto per evitarle.
Quindi, con i colori desaturati della bella fotografia a cura di Bonnie Elliott ad avvolgere la oltre ora e venti di visione, la inutile lotta per la sopravvivenza su una Terra giunta al capolinea si distacca qui nettamente da quelle in chiave fanta-horror inscenate, tra l’altro, all’interno delle varie trasposizioni cinematografiche del mathesoniano “Io sono leggenda”, tanto che perfino gli effetti visivi non assumono rilevante importanza.
Ma, con un’impostazione di stampo piuttosto teatrale, è impossibile non avvertire, purtroppo, una forte fiacchezza generale dovuta in particolar modo alla pochezza di eventi in grado di essere realmente coinvolgenti e di strappare dalla morsa della monotonia e della noia l’operazione.

La frase:
"Abbiamo 12 ore gente".

a cura di Francesco Lomuscio

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