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Palermo shooting
Da un decesso sfiorato a una fuga - dominata dall’inconscio - con perdita di mèta, fino al confronto con la Morte. Uscendone rinati.
Concretizzando l’idea cullata da tempo di un film insieme a Campino, cantante rock amico e collaboratore (sia per un videoclip che per un brano della colonna sonora de "La Terra dell’abbondanza"), per la prima volta Wim Wenders utilizza come set la loro comune città natale, Düsseldorf. Un riflessivo passo indietro al punto di partenza quindi, con un debito d’ispirazione e una dedica a Ingmar Bergman (la partita a scacchi de "Il Settimo sigillo") e Michelangelo Antonioni (il fotografo protagonista di "Blow up"), lungo un notturno, allucinato iter tra un affresco del XV° secolo ("Il trionfo della Morte"), il cameo della fotografa degli assassinati dalla Mafia Letizia Battaglia, funeree visioni barocche di teschi, anziane, spettri e infine di una Grande Mietitrice biancastra (oltreché uomo).
Dove la paura iniziale - generata dai rimpianti di mezz’età - lascia il posto all’accettazione, chiave di felicità e apprezzamento dell’esistenza, in un ritorno alla vita che passa per il fermento, la luce, gli spazi aperti del Sud e la giovinezza femminile (tra l’altro la ragazza materializzatasi dopo un incubo è restauratrice).
"Palermo shooting" è una mancata sintesi di contrasti: tra la dichiarazione di fede nell’invisibile e un confronto didascalico, o tra l’utilizzo e al contempo l’attacco al digitale accusato di far confusione, perdere l’essenza e ricreare la realtà attraverso una manipolazione che significa timore della vita e della morte. Musica onnipresente e piacevole ma scollata dal contesto, mentre il buon gusto per la fotografia e per i paesaggi architettonici e naturali inciampa nel kitsch e l’approccio personale - Wenders scrive, produce e dirige - nella supponenza (la Morte investe l’alter-ego del regista del compito di mostrarla, con un ritratto, all’umanità), per un’autoanalisi piatta, povera e noiosa anche in versione rimontata con un taglio di 18 minuti rispetto a quella presentata, con stroncatura, a Cannes.
La frase: "Le cose sono solo superficie".
Federico Raponi
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