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Quando tutto cambia
Helen Hunt, apprezzata attrice americana, si cimenta dietro la macchina da presa e lo fa con "Quando tutto cambia" tratto da un romanzo della scrittrice Elinor Lipman ("Then She Found Me").
Film di per se drammatico, anche se in alcuni momenti trattato con sagacia dalla Hunt, racconta una storia forte quanto singolare, i cui eventi non sempre corrispondono a canoni di veridicità. La protagonista April (interpretata dalla stessa Helen Hunt) è una maestra, figlia adottiva, lasciata dal marito (Matthew Broderick) per motivi ai più oscuri che inizia una relazione con il padre (Colin Firth) di uno dei suoi piccoli studenti e nel frattempo viene contattata da quella che dice essere la sua madre naturale (Bette Middler), una nota conduttrice televisiva... Ce ne sarebbe per produrre una soap opera dalla durate decennale, anche se, ovviamente, il taglio che prevale non è certo quello del gossip familiare ma quello della intima ricerca di se stessa in un percorso lungo quanto difficile.
Il problemi dell’opera nascono dal fatto che la Hunt, invece, prova a condensare il tutto nelle canoniche 2 ore cinematografiche, con risultati però alterni. Il film, infatti, è girato in maniera monotona e banale ed in più di un’occasione risulta abbastanza noioso anche perché la stessa Hunt sembra lei stessa non riuscire a caratterizzare con sufficiente originalità il suo personaggio, che pure offriva molte possibilità, offrendo una prova non all’altezza della sua bravura. Attorno a lei gli altri navigati attori tra i quali solo Broderick – forse anche per la particolarità del suo personaggio ammantato da un irritante infantilismo – riesce a convincere. Il film, insomma, non decolla probabilmente anche perché troppo accentrato sul personaggio della Hunt la cui prospettiva finisce per falsare il giudizio nei confronti degli altri personaggi e degli eventi che accadono. In questa ottica, difficilmente si comprendono alcune reazioni come l’ostinazione di April nel sentirsi attratta dall’ex marito o gli eccessivi scoppi di rabbia del personaggio di Firth o l’insostenibile leggerezza della madre naturale. Così come risulta buttata là la deriva, anzi l’antideriva, mistica che l’opera prende verso la sua fine. In questa confusione di sentimenti e di relazioni, il film finisce per perdersi anche per l’ondivaga scelta di rimanere sempre sul confine tra il dramma e la commedia brillante.
Le ultime sequenze però, che non vi raccontiamo, rasserenano l’animo fino a quel momento scosso.
La frase:
- "Credi in Dio?"
- "Non lo so. Guardo troppi notiziari..."
Daniele Sesti
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