Them
Ispirato ad un fatto realmente accaduto, "Ils", lungometraggio d'esordio di Xavier Palud e David Moreau (anche se nel curriculum di quest'ultimo figura un oscuro "Back to Saint-Tropez", del 2003), che approda nelle sale cinematografiche italiane con il titolo anglofono "Them", gioca efficacemente ed in maniera altamente intelligente su un fattore legato al quotidiano vivere di qualsiasi individuo: la vera paura è quella che si prova nei confronti di qualcosa che non riusciamo a vedere, perché nascosto, ma che, probabilmente, ci sta osservando, e di cui, quindi, avvertiamo la presenza.
Infatti, nel corso del folgorante incipit, nulla ci viene mostrato di chi, la sera del 6 ottobre del 2002, assale madre e figlia con l'automobile in panne lungo una strada isolata fuori città.
E nulla ci viene mostrato neppure di chi, all'interno di una grande villa alla periferia di Bucarest, provvederà in seguito a trasformare in un vero e proprio incubo la tranquilla notte dell'insegnante di scuola media inferiore Clementine e del suo fidanzato Lucas, rispettivamente interpretati da Olivia Bonamy (protagonista di "Bloody Mallory", risposta francese a "Buffy - L'ammazzavampiri") e Michaël Cohen (tanta televisione ed una parte ne "I miserabili" di Claude Lelouch).
Perché, grazie soprattutto all'imperante clima di mistero, il thriller di Palud e Moreau, impreziosito anche dal serrato montaggio di Nicolas Sarkissian, rientra in quella categoria di spettacolo su celluloide che, attraverso la sola forza delle immagini e facendo ricorso a pochi e trascurabili dialoghi, difficilmente permette allo spettatore di distogliere la propria attenzione nei riguardi dello schermo, fortemente desideroso di scoprire chi sono "loro", cui il titolo fa riferimento.
Disturbatori invisibili, ma presenti, che contribuiscono in maniera fondamentale a far trapelare inquietudine da ogni singola inquadratura, mentre i cupi toni della contrastata fotografia di Axel Cosnefroy provvedono quasi a desaturare i colori, tanto da generare angoscianti atmosfere che viene una gran voglia di associare a quelle dei migliori prodotti partoriti durante l'Espressionismo Tedesco.
Le ombre, le soggettive minacciose, le fughe nel bosco immortalate con macchina da presa impazzita, le porte semiaperte e le tende leggermente mosse dal vento, infatti, non appartengono altro che ad un certo cinema della paura di vecchio stampo; classici stratagemmi cui va obbligatoriamente aggiunto l'immancabile uso del sonoro atto a provocare spaventi improvvisi, ma che, nell'epoca dello splatter abusato e degli elaborati effetti speciali di trucco, funzionano ancora maledettamente alla grande.
E con l'unico scopo di trasportarci verso lo splendido, spiazzante epilogo, capace di spingere alla riflessione tanto da testimoniare, ancora una volta, che il genere horror non può e non deve assolutamente essere considerato come campionario esclusivo di seriali prodotti destinati al facile consumo.

Francesco Lomuscio

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