The Killer Inside Me
Certi film hanno il potere di farti ripensare a tutto il percorso fatto poco tempo prima per arrivare in sala e assistere alla proiezione. Ti chiedi quando avevi deciso di vederlo, le ragioni e quali imprevisti sarebbero potuti capitare, ma non sono purtroppo capitati, che ti avrebbero potuto impedire la visione di quella che non solo è una perdita di tempo (ma di cui purtroppo ti rendi conto solo ora), ma ti infastidisce anche tanto da rivelarsi anche causa di un dolore quasi fisico. Se un film lo si potesse valutare semplicemente dalle intensità delle emozioni che provoca, "The Killer inside me" sarebbe un capolavoro. Purtroppo però, entrando nel merito e, quindi, nella definizione delle emozioni in questione, il giudizio si capovolge: si tratta di una pellicola detestabile, tanto disturbante quanto furba e morbosa.
La base è l’omonimo romanzo (tradotto in italiano con "L’assassino che è in me") diJil Thompson, pubblicato per la prima volta nel 1952.
Michael Winterbottom, altalenante regista capace sia di buoni-ottimi lavori come "Benvenuti a Sarajevo" che pessimi come "Genova",ne prende la traccia narrativa, i personaggi e le situazioni, ma spinge il pedale su tutti i risvolti estremi che la sceneggiatura gli offre.
E così, la discesa agli inferi del suo protagonista, sceriffo dalla mente criminale (ma solo per lavoro), diventa l’opportunità per ostentare oltremodo scene di violenza: sesso, stupro, menomazioni. Se da una parte se ne può comprendere l’obiettivo, soprattutto alla luce del finale che capovolge aspettative e significati, dall’altra c’è così tanto materiale rivoltante, che appare chiara la volontà di scandalizzare lo spettatore e non quella di farlo riflettere (obiettivo invece del libro).
Chi scrive ha visto il film durante lo scorso festival di Berlino: almeno un centinaio di persone, se non di più, si sono allontanate dalla sala durante la proiezione e grida, buu e tanti altri mormorii di disapprovazione hanno accompagnato tutta la proiezione (con un vero exploit ai titoli di coda). Erano giustificati. I corpi e i volti di attori come Jessica Alba, Kate Hudson e Casey Affleck vengono sprecati a favore di un progetto che, con la giusta ispirazione, poteva risultare un bel thriller-noir di cui ci si ricorda poi per tempo. Winterbottom purtroppo non sa trattare il pulp come Tarantino né i trip mentali come David Fincher (né ne è in grado lo sceneggiatore John Curran): il risultato è ben peggio che trascurabile.

La frase: "Un'erbaccia è semplicemente un fiore non al posto giusto".

Andrea D'Addio

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