Il libro della giungla
Se il primo adattamento cinematografico della raccolta di racconti pubblicati tra il 1893 e il 1894 su giornali e riviste dallo scrittore Premio Nobel per la letteratura Rudyard Kipling fu “La danza degli elefanti” (1937), diretto da Robert J. Flaherty insieme allo Zoltan Korda poi occupatosi de “Il libro della giungla” (1945), la versione da grande schermo più conosciuta delle storie riguardanti il cucciolo d’uomo Mowgli rimane senza alcun dubbio quella d’animazione che Wolfgang Reitherman curò per Walt Disney nel 1967, trentasei anni prima che la major ne sfornasse il sequel “Il libro della giungla 2” (2003) di Steve Trenbirth.
Versione da schermo cui – come già avvenuto, tra l’altro, per “Mowgli – Il libro della giungla” (1994) di Stephen Sommers – si rifà il Jon Favreau autore di “Iron man” (2008) e “Cowboys & aliens” (2011) per concretizzarne un rifacimento in carne ed ossa atto a porre l’esordiente Neel Sethi nei panni del piccolo che, allevato da una famiglia di lupi, finisce per fare presto animalesche conoscenze mentre la ferocissima tigre Shere Khan si mette sulle sue tracce con lo scopo di eliminarlo dalla faccia della Terra.
Animalesche conoscenze comprendenti, come di consueto, il suo mentore Bagheera, nera pantera doppiata nell’edizione italiana da Toni Servillo, il simpatico orso Baloo e il viscidissimo pitone Kaa, rispettivamente con le voci di Neri Marcoré e Giovanna Mezzogiorno.
Senza contare lo scimmiesco Re Louie cui concede anima vocale tricolore il presentatore televisivo Giancarlo Magalli e che, nel tentativo di convincere il giovanissimo protagonista a rivelargli il segreto del “fiore rosso”, ovvero il fuoco, fa il suo ingresso nel corso di una sequenza dai toni decisamente cupi e, in fin dei conti, non molto distanti da quelli che tempestano i film dell’orrore.
Un aspetto che, se da un lato rischia – insieme alla minacciosità di determinate fiere portate in scena – di spingere il pubblico dei bambini a spaventarsi in diverse occasioni, dall’altro, inevitabilmente, non si sposa poi tanto bene con i leggeri momenti in cui si canta (compresa la mitica “Lo stretto indispensabile”), più vicini al citato cartoon da dove tutto prende le mosse.
Cartoon del quale questa rivisitazione non sembra possedere, tra l’altro, la frizzante dinamicità da commedia, in quanto, pur non dimenticando la spruzzata di immancabile ironia, tende a concentrarsi maggiormente sugli elementi spettacolar-avventurosi, destinati a raggiungere l’apice nella fase conclusiva immersa tra le fiamme.
E, non a caso, tra api pronte a difendere il proprio miele e scorribande in mezzo agli alberi, è il lodevole risultato ottenuto dal miscuglio di performance live action con ambientazioni digitali e creature frutto di un’animazione fotorealistica ad arricchire in maniera fondamentale il nuovo, non eccelso allegorico percorso di crescita mowgliano; in parte a rischio di cadute nella piattezza durante la sua evoluzione narrativa, ma popolato da bestiame talmente veritiero da conferire quasi l’impressione di trovarci dinanzi ad un documentario il cui fascino, appunto, risiede totalmente nella potenza delle immagini.
Oltretutto accentuate dalla buona visione tridimensionale.
La frase:
"La forza del branco è il lupo e la forza del lupo è il branco".
a cura di Francesco Lomuscio
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