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I morti non muoiono

La recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com

di Francesco Lomuscio05 giugno 2019Voto: 5.5
 

  • Foto dal film I morti non muoiono
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È dalla “The dead don’t die” del cantante country Sturgill Simpson che prende il titolo originale il lungometraggio tramite cui l’americano classe 1953 Jim Jarmusch affronta la tematica dei morti viventi, dopo essersi dedicato nel 2013 alla propria personale visione dei vampiri attraverso “Solo gli amanti sopravvivono”.

Un lungometraggio che parte dalla figura da un’eremita dei boschi incarnato da Tom Waits per presentare progressivamente i diversi protagonisti, a cominciare dai Bill Murray e Adam Driver in divise da poliziotti.
Una buffa coppia di rappresentanti delle forze dell’ordine affiancati dalla collega Chloë Sevigny nella immaginaria cittadina di Centerville, dove, a quanto pare, i defunti hanno iniziato a tornare in vita, pericolosamente affamati di carne umana, dopo che il fracking ai poli nord e sud sembra aver generato uno spostamento dell’asse terrestre.
Una trovata decisamente originale che si distacca da quelle relative ai vari gas o ai riti voodoo che hanno accompagnato un po’ tutta la storia degli zombie movie, il cui maestro assoluto fu il George A. Romero che, ovviamente, non manca qui di essere omaggiato anche verbalmente.

Del resto, in un terzo millennio da schermo sempre più popolato – dalla serie tv “The walking dead” al kolossal cinematografico “World War Z” – di infetti veloci e scattanti, il cineasta originario di Akron guarda in maniera evidente alla tradizione classica, proponendo una delle poche resurrezioni da sotto terra viste in fotogrammi e preferendo le classiche salme lente e dinoccolate che sono annientabili decapitandole.
Salme tra le quali possiamo riconoscere la rock star Iggy Pop, vecchia conoscenza dei set jarmuschiani come buona parte del ricco cast, comprendente una Tilda Swinton titolare di pompe funebri abile con la katana, uno Steve Buscemi fattore, il trio di giovani in cerca di un motel formato da Austin Butler, Luka Sabbat e Selena Gomez e un Danny Glover che, affiancato da un nerdissimo Caleb Landry Jones, finisce assediato in stile “La notte dei morti viventi”.

Tutti personaggi che si ritrovano al centro della sequela di scenette poste per lo più in parallelo per costruire la oltre ora e quaranta di visione, tutt’altro che volta a prendersi sul serio come testimoniano i comportamenti grotteschi sfoggiati dal campionario umano coinvolto, a cominciare dalle assurde reazioni dinanzi al ritrovamento dei corpi trucidati di Fern e Lily, ovvero Eszter Balint e Rosal Colon.
Ma non siamo né dalle parti della parodia sulla scia de “L’alba dei morti dementi” di Edgar Wright, né da quelle della variante splatter demenziale di “Splatters – Gli schizzacervelli” di Peter Jackson, tanto che l’insieme non sembra lasciar bene intendere dove voglia andare a parare soprattutto dal momento in cui Driver sfodera una battuta di taglio metacinematografico che, mirata alla risata, appare decisamente fuori luogo pur volendo di sicuro accentuare la follia generale.

Con l’invasione vera e propria che arriva soltanto una volta giunti a circa metà del film, il maggior pregio dell’operazione è sicuramente individuabile in un’accattivante estetica funerea che l’horror sembra aver da tempo perso... per il resto, però, l’eccessiva lentezza di narrazione non può fare a meno di essere avvertita e, se l’intento dell’autore di “Daunbailò” è quello di suggerire che gli zombi altro non sono ciò che resta delle persone materialiste, i fan del genere sanno benissimo che a tal proposito è già stato tutto detto dal citato Romero e dai suoi emuli.


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