The Conspirator
Dopo "Leoni per agnelli" Robert Redford torna a fare una digressione sull’America. Non quella di oggi, ma quella del passato con "The conspirator", un film inchiesta ai tempi di Lincoln che crea un curioso continuum narrativo.
Washington, 1865. Alla morte di Abramo Lincoln viene incriminato per l’omicidio l’attore John Wikes Booth. L’inchiesta porta all’arresto di altre persone che secondo l’accusa hanno complottato contro gli Stati Uniti d’America. Tra queste c’è Mary Surratt la quale si dichiara innocente. La sua difesa verrà affidata all’eroe di guerra Frederick Allen, che però non le crede...
Quando Redford torna dietro la macchina da presa lo fa con cognizione di causa. Il tema che sceglie, il film che realizza, persino gli attori, tutto è preparato a dovere affinché, insieme a una trama portante, emerga anche un incisivo sotto testo filmico. Lo aveva fatto con "Quiz Show", dove criticava amaramente il mondo della televisione, e più avanti con "Leoni per agnelli", dove la deludente opera militare americana in Afghanistan si palesava nei dialoghi serrati. E lo ha fatto di nuovo con "The conspirator", dove Robert Redford fa emergere tutti i suoi dubbi sulla gestione della giustizia in America. Va detto che la questione non è nuova al cinema e che altri registi prima di lui si sono cimentati sul problema. Pensiamo a Eastwood con "Fino a prova contraria" o al più recente "The Changeling"; pensiamo anche a thriller come "Presunto innocente" di Alan Pakula; o infine a "J.F.K – Un caso ancora aperto" di Oliver Stone, con cui questo "The conspirator" ha pure dei punti in comune.
Venendo più al film in questione, "The conspirator" si discosta fin dalle prime battute dal mero esercizio scolastico. Redford propone invece una analisi suggestiva sul popolo americano. In questo caso, infatti, ciò che colpisce è la fredda maniera con cui il regista descrive ciò che è intorno al processo. Le battute, le ipocrisie, i pregiudizi, atteggiamenti sociali di un popolo che, sembra suggerire il regista, si muove per paura. La paura e la voglia di vendetta, di fare giustizia, sovrasta qualunque altra condizione umana. Difficile, vedendo il film, non dargli ragione. E questa lettura, a voler essere cattivi, potrebbe giustificare il pessimo successo che il film ha riscosso in patria.
Ottimo il cast, e anche questa forse non è una novità. James McAvoy dimostra una versatilità notevole, se pensiamo che recentemente ha interpretato Charles Xavier nel fumetto "X-men: l’inizio". La brava Robin Wright sembra recitare il ruolo di una vita: notevole il suo carisma. Il resto si conforma ai due, anche grazie a una ricostruzione storica da applausi.
Redford, tra dramma teatrale e dramma giudiziario. In un’aula di tribunale piena di ombre echeggia i teoremi di indicibilità assoluta filosofeggiati da Gödel, portando come prova la morte dell’assistita.
Come a dire che la sua non è un’opinione, ma storia.
La frase:
"Non le credo ma l’aiuterò".
a cura di Diego Altobelli
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