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Terminator - Destino oscuroLa recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com di Francesco Lomuscio28 ottobre 2019Voto: 6.5
C’era una volta un futuro in cui l’umanità era braccata da una macchina pensante.
Un futuro che sarebbe dovuto essere il distruttivo 1997 sventato da Sarah Connor e dal figlio John in “Terminator 2 – Il giorno del giudizio”, tramite cui James Cameron diede nel 1991 un innovativo sequel al suo fanta-capolavoro “Terminator” che, sette anni prima, portò al successo Arnold Schwarzenegger nei panni del pericoloso cyborg T-800.
Fanta-capolavoro che, al di là di quella innovativa continuazione destinata a segnare una decisiva evoluzione dell’effettistica digitale grazie all’introduzione di un killer dal futuro costituito da metallo liquido, è stato poi seguito da “Terminator 3: Le macchine ribelli” di Jonathan Mostow, “Terminator Salvation” di McG e “Terminator Genisys” di Alan Taylor. Tre tasselli più o meno riusciti che, però, vengono del tutto ignorati dal plot alla base di questa sesta avventura, in quanto si riparte da una breve parentesi ambientata nel 1998 e in cui Edward Furlong riappare fugacemente nel ruolo del giovane John Connor; per poi spostare il tutto a ventidue anni più tardi e tirare in ballo Dani Ramos alias Natalia Reyes, ragazza che è, a quanto pare, il bersaglio di un nuovo letale assassino giunto da un tutt’altro che roseo domani: un Rev-9, capace attraverso il contatto fisico di assumere le sembianze altrui, provocando la morte di coloro che tocca. Un nuovo letale assassino manifestante i connotati di Gabriel Luna e contro cui si pone Grace, umana potenziata nel 2042 e incarnata da Mackenzie Davis; prima che alla lotta per la pace si aggiunga una Sarah Connor interpretata per la terza volta da Linda Hamilton. Una Sarah Connor che ha oltretutto un vecchio conto in sospeso con un altro T-800 dal volto di Schwarzy e che ora si fa chiamare Carl, ma che, a quanto pare, è passato dalla parte del bene attraverso un non troppo ragionato risvolto di sceneggiatura – a firma di David S. Goyer, Justin Rhodes e Billy Ray – degno degli script di un cartone animato per bambini. Un risvolto di sceneggiatura probabilmente utile a rafforzare il qui ribadito messaggio terminatoriano riguardante l’essere umano che deve essere artefice del proprio destino evitando di lasciarsi sopraffare dalla tecnologia, ma sul quale lo spettatore ha bisogno obbligatoriamente di cercare di sorvolare (e non si tratta dell’unico) per far sì che le oltre due ore di visione lo lascino più che sufficientemente soddisfatto. Perché, mentre tale attacco all’invadenza delle macchine emerge anche dal far notare come, tra telecamere site in esercizi commerciali e localizzatori praticamente alla portata di tutti, nel terzo millennio sia impossibile non lasciare tracce digitali, sono fortunatamente il ritmo serrato e l’abbondanza di spettacolarità a dominare “Terminator – Destino oscuro”. Spettacolarità che, in particolar modo durante la prima parte dell’operazione, trasuda chiari rimandi al sopra menzionato secondo capitolo, soprattutto per quanto riguarda le dinamiche di determinate sequenze, in mezzo a lunghi inseguimenti sull’asfalto tempestati di veicoli da ribaltare e colossali esplosioni. E, man mano che il comparto ironico non rinuncia neppure a frecciatine rivolte all’uso delle armi in Texas e alle leggi trumpiane riguardanti il passaggio del confine del Messico, a regalare facili, necessarie emozioni da blockbuster d’intrattenimento provvedono anche uno scontro ad alta quota e un altro consumato sott’acqua. Da Tim Miller, regista del discutibile cinecomic "Deadpool", c'era da aspettarsi decisamente di peggio. La frase dal film:
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