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Suite Francese











Siamo nella provincia francese nel 1940 e Lucile Angellier (Michelle Williams) attende il ritorno del marito Gaston dal fronte.
Mentre affronta la difficile coabitazione con la suocera (Kristin Scott Thomas), proprietaria terriera autoritaria e gretta, il piccolo villaggio in cui vivono viene prima raggiunto dai transfughi parigini e poi occupato dalle truppe naziste.
Quando le due donne sono costrette ad ospitare in casa Bruno (Matthias Schoenaerts), un raffinato e affascinante ufficiale tedesco, l'equilibrio già piuttosto fragile alla base del loro rapporto rischia di rompersi del tutto.
Ben presto infatti, tra Lucile e Bruno, nasce un profondo sentimento, fatto soprattutto di silenzi e sguardi complici che entrambi cercano inizialmente di negarsi in quanto impossibilitati a viverlo appieno dalle antitetiche posizioni in cui il conflitto, di fatto, li ha posti.
Tratto dall'omonimo romanzo di Irène Némirovsky (opera rimasta incompiuta a causa della morte dell'autrice, nel campo di prigionia di Auschwitz nel 1942), Suite francese è un film che se, da un lato, sembra mostrare sin dalle sue prime scene una forte impronta classica, sia in termini di linguaggio che di struttura, si rivela poi opera assai più complessa.
Una volta che lo spettatore abbia avuto modo di oltrepassare il primo e più evidente strato melò, infatti, i motivi di interesse sui quali fermarsi a riflettere non sono affatto pochi.
Innanzitutto perché il film in questione ha il raro merito di offrire uno sguardo abbastanza inedito sul secondo conflitto mondiale che, piuttosto che sul punto di vista "macro" a cui tanto cinema bellico ci ha ormai abituato, preferisce concentrarsi sul microcosmo chiuso di un paesino e, nel particolare, di un appartamento in cui ricostruire una versione "da camera" dello scontro.
Tutto ciò senza incorrere mai nella facile tentazione di adagiarsi su alcuno schema dicotomico "noi buoni - loro cattivi".
Lo spettatore ha così modo di assistere a due guerre distinte e differenti: una è, ovvio, la Seconda Guerra Mondiale che fa da cornice a tutto, vista però dal basso di chi non ha idea di cosa stia realmente accadendo, chi stia vincendo e forse neanche dei reali motivi per cui si combatta e ha piuttosto, come unico scopo, solo quello di sopravvivere (la scena del bombardamento aereo iniziale in tal senso è notevolissima).
L'altra guerra invece è molto più privata e domestica, ed è quella tra due donne con due modi irrimediabilmente diversi di approcciarsi al mondo fuori, specialmente quando questo mondo ti entra in casa in maniera così improvvisa e violenta.
Esattamente all'incrocio tra queste due guerre c'è Lucile, giovane donna schiacciata dal peso di un amore vissuto principalmente come una colpa e innervata di una fragilità solo apparente e che si rivela poi essere invece, con il dipanarsi della storia, insospettabilmente forte nel suo opporsi fieramente ad un destino troppo duro e insensato per assoggettarvisi in modo cieco.
Saul Dibb, già autore de La Duchessa, dirige con mano ferma e alcuni picchi di notevole raffinatezza visiva un dramma sentimentale compatto e mai stucchevole, aiutato in questo da uno script calibratissimo che procede per accumulo progressivo di elementi e sottotrame senza appiattirsi mai sul semplice cotè romantico della linea narrativa principale, ma sviluppando ogni personaggio secondario, fino a costruire un piccolo affresco in cui le singole storie si intersecano dandosi forza a vicenda.
Menzione particolare meritano le interpretazioni magistrali di Michelle Williams e Kristin Scott Thomas, quest'ultima davvero eccezionale nel tratteggiare questa figura di donna arcigna e benestante così poco incline ad accettare le privazioni che, di lì a poco, la guerra avrebbe comportato.
Piace inoltre l'estrema sintesi di un racconto che, nelle mani di altri registi, avrebbe facilmente potuto indulgere e dilungarsi in più romantici primi piani sognanti, finendo col superare abbondantemente il limite delle due ore, laddove invece Dibb preferisce lavorare su una secchezza di tempi utile a suggerire la concitazione febbrile di un particolare momento storico in cui tutto era suscettibile di poter cambiare da un momento all'altro.
Curioso inoltre che Suite Francese faccia la sua comparsa in sala a solo una settimana dall'uscita del bellissimo Il segreto del suo volto di Christian Petzold, operazione simile nel filtrare episodi apparentemente periferici del periodo bellico (in quel caso dell'immediato dopoguerra) attraverso la medesima lente, quella del melò, genere troppo spesso ingiustamente sottovalutato.

La frase:
"Presto ci rivedremo e faticherai a riconoscermi, perché non sarò più un soldato".

a cura di Fabio Giusti

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