Stoker
Park Chan-wook è uno dei grandi protagonisti del nuovo cinema coreano, conosciuto in Occidente per la trilogia della vendetta e nello specifico per il secondo dei tre (Oldboy), premiato – e idolatrato – a Cannes 2003 da Quentin Tarantino. Proprio di "Oldboy" è in programma un remake a stelle e strisce firmato Spike Lee con Clive Owen e la stessa Mia Wasikowska. Sarà anche nell’ambito di questa trattativa che è maturata la decisione per Park di accettare il progetto "Stoker", una specie di compendio del suo originale cinema di genere caratterizzato da eleganza visiva, violenza, lirismo, umorismo e un certo tocco grottesco.
Ispirato al maestro Hitchcock (di cui il giovane Park, critico duro e puro, era innamorato cotto), "Stoker" è una storia che ricorda "L’ombra del dubbio" (Alfred Hitchcock, 1943) e ne condivide il protagonista: un misterioso zio di nome Charlie. Questo Charlie (Matthew Goode), però, piomba all’improvviso a casa della cognata Evie (Nicole Kidman) e della nipote India (Mia Wasikowska). Non ci sarebbe nulla di strano se non fosse il diciottesimo compleanno della ragazza e il giorno della morte di suo fratello Richard Stoker.
Il personaggio principale della storia è India, un’adolescente che si potrebbe ottenere mixando apatia, alienazione, dolore, rabbia, ingenuità. A ottenere il cocktail contribuisce lo zio Charlie, pericoloso squilibrato travestito da gentleman. Evie fa da collante ed è irritante quanto basta a farla detestare.
Sembrano aprirsi degli scenari vampireschi e, conoscendo l’attitudine cruenta del regista, ci si prepara a vedere del sangue che però non arriva, se non quando la protagonista brandisce una matita. Episodio che fa trapelare i punti di contatto tra zio e nipote, resisi concreto nella sequenza del pianoforte suonato a quattro mani (il brano, originale è di Philip Glass, ndr), culminata nell’omicidio ed esasperata nella masturbazione sotto la doccia che apre un sottotesto sessuale. Una complicità effettivamente ingiustificata, che presto si trasformerà in vendetta. Ecco un problema: la vendetta, ancora. Un tema ricorrente, all’interno di una sceneggiatura in stile "Oldboy" che prevede un’altra prigione (la casa isolata, ambientazione principale del racconto) e un altro pacco da scartare con tanto di flashback a svelare la sorpresa. Che, quando arriva, in un pathos moderato, delude le attese e, anzi, crea quasi un certo fastidio per com’è confezionata.
Nell’opera ci sono tutti gli ingredienti del cinema di Park ma sono combinati in maniera svogliata, ampollosa e patinata. La metafora (la scena del vino a tavola, le scarpe di coccodrillo con il tacco, il ragno che sale su per la gamba) prevale stucchevolmente.
"Stoker", primo film americano di Park Chan-wook, mantiene la personalità e il marchio di fabbrica dell’autore, regala qualche bagliore di grande cinema ma è per chi scrive un passo indietro rispetto al percorso artistico fin qui costruito.
Se i risultati in USA sono questi, meglio rientrare a Seul e per un po’ deporre in un cassetto il passaporto.
La frase:
"Strano come le persone spariscano all’improvviso".
a cura di Nicola Di Francesco
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