Step Up 3D
È certamente risaputo da quanto va avanti il fortunato genere del musical, o musicale, che a partire dagli anni ’50 ha concretizzato, attraverso capolavori ormai lontani quali "Grease" e "Dirty Dancing", uno stilema unico e spettacolare. Ed è proprio in quest’ultimo ambito che la famosa saga di "Step Up" ritrova nel terzo capitolo motivo di orgoglio e primato: il primo film sulla danza a chiamare in causa la tecnologia del momento.Quando però essa non viene sfruttata al pieno delle sue potenzialità, il risultato che ne deriva è prolisso e ripetitivo: occhialini per il 3D la cui unica perla consiste nel risaltare i personaggi dallo sfondo. Tralasciando alcuni passaggi, in cui essenzialmente gli oggetti sembrano avvicinarsi allo spettatore, il resto è senza dubbio superfluo.
La storia nella quale si è avventurato Jon M. Chu, regista anche del secondo capitolo, si distacca dai due precedenti, pur avendo recuperato qualche filo al fine di tenere unito il titolo della trilogia. Se il primo si incentrava attorno alla preparazione di un saggio di diploma, e nel secondo si affrontavano le piccole crew a livello cittadino, il terzo espande i propri orizzonti al primo campionato nazionale di danza.
Non solo. Il protagonista, Luke (Rick Malambri), possiede anche un’altra passione: al contrario dei suoi predecessori, al ballo affianca la regia, trovandosi di fronte alla difficoltà non più soltanto di vincere una competizione, bensì anche quella di entrare in una scuola di cinema californiana.
I ritmi del plot, però, non cambiano da film a film: un inizio, un liscio svolgimento, la suspense e la conclusione. Niente eventi inaspettati o improvvisi capovolgimenti. Tutto è graduale, e di conseguenza prevedibile. Inevitabilmente Luke casca nella rete del destino che lo porta a conoscere l’affascinante Natalie (Sharni Vinson), che sarà anche la responsabile di un intreccio da thriller americano, anch’esso forse un po’ troppo scontato.
Da notare nella pellicola i rimandi al grande cinema, come è ravvisabile in un paio di scene in cui è chiamato in causa il "Kill Bill" tarantiniano: scarpe da ballo disposte su più mensole ed illuminate come le spade nella soffitta di Hattori Hanzo, nonché il protagonista scherzosamente chiamato col nome del regista di origini italiane.
A conti fatti, "Step Up3" non è assolutamente un film impegnativo o pesante; tantomeno è adatto al grande pubblico. Sin dal trailer, si intuisce che il precipuo destinatario di riferimento è un pubblico amante della danza e dei sentimentali a lieto fine.

La frase: "È bastato un passo per liberare la generazione di Elvis".

Ivan Germano

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