01 Settembre 2007 - Conferenza stampa
"Nella valle di Elah"
Intervista al cast.
di Monica Cabras


In sala sono presenti la bellissima Charlize Theron, il geniale Paul Haggis e I produttori Laurence Becsey, Patrick Wachsberger e Steven Samuels. Tommy Lee Jones, non è potuto venire perché ha dovuto subire un intervento chirurgico all'occhio

Signor Haggis, questo è un film di denuncia, e tanti altri ne stanno uscendo su questo argomento secondo lei cosa il pubblico non sa di questa guerra?
Paul Haggis: So che ci si chiede perché questi film stanno uscendo ora, mentre per la guerra del Vietnam i film di denuncia sono usciti solo dopo. La differenza è che durante la guerra del Vietnam i giornalisti facevano bene il loro lavoro e parlavano delle cose che la gente non vuole sentire. Ora non succede più, i giornalisti non raccontano i fatti. So che stanno uscendo altri film sull'argomento, perché c'è il bisogno di capire cosa sta realmente succedendo.

Signorina Theron, Scarlett Johansson cerca di dare il suo appoggio ai soldati militari in guerra andando a trovarli al fronte, lei cosa fa per sostenerli?
Charlize Theron: Sono contenta che lei faccia questi viaggi, ma io penso che i soldati dovrebbero tornare a casa e essere curati. Ma bisogna stare attenti perché i soldati fanno un lavoro molto pericoloso. Spero solo che ci si possa prendere cura di loro, che il governo si prenda cura di loro come dovrebbe.

Cosa crede che Bush penserà di questo film?
Paul Haggis: A noi non importa se si è favorevoli o no alla guerra. L'importante e che si sappia cosa sta succedendo. La prima cosa che noi abbiamo fatto dopo aver finito il film è stato di lanciare una campagna per i veterani del Vietnam e del Golfo. Gli abbiamo fatto vedere il film perchè volevamo sapere cosa ne pensassero e loro sono stati molto contenti. Se si parla con qualsiasi reduce di guerra ci si sentirà dire che noi non sappiamo assolutamente cosa succede al fronte.

Come vede il suo futuro, pensa che farà cose diverse
Paul Haggis: Si conosce la violenza ogni guerra. Ad esempio un mio avo, reduce della I Guerra Mondiale aveva sempre gli incubi di notte. Il rientro a casa è difficile per ogni soldato che ha conosciuto gli orrori della guerra. Ma in qualche modo si riesce a giustificare la violenza commessa per liberare i popoli dai nazisti o dai campi di concentramento.. comprendere certi atti era più facile, è diventato più difficile nella guerra del Vietnam ma ora lo è molto di più. Ora si parla di guerra urbana, molti civili vengono uccisi ora, in Vietnam a parte qualche villaggio era più raro attaccare in posti dove c'erano civili. Questi uomini e donne che sono in guerra sono molto coraggiosi, sicuramente lo sono molto più di me, io non metterei piede in quella sabbia, perché loro sanno che per arrivare al nemico devono attraversare insediamenti civili, ed è difficile riuscire a trovare il modo giusto.
Charlize Theron: Bisogna dire che nel personaggio di Tommy, così come in altri soldati c'è anche la negazione.

Come può commentare la situazione in Iraq oggi, vede possibili soluzioni realistiche?
Paul Haggis: Come artista non posso rispondere a domande come questa, ma solo chiedere delle risposte.

Pensa di vincere altri Oscar per questo film?
Paul Haggis: Ma certo noi abbiamo fatto questo film solo per vincere degli Oscar!...A parte gli scherzi noi facciamo dei film non per un premio, ma solo perché ci poniamo delle domande che hanno bisogno di risposte. Anche se è sicuramente bellissimo ricevere delle attenzioni. Quando si diceva che Crash fosse il miglior film dell'anno io mi sentivo a disagio perché penso che ci fossero altri film, altrettanto belli che andrebbero celebrati. È da due anni che assillavo Charlize per partecipare al film, poi un giorno lei mi ha detto che avrebbe letto il copione e poi mi avrebbe fatto sapere. Quando glielo ho dato era un mercoledì e il giovedì mi ha chiamato per dirmi che lo avrebbe fatto. Io le ho detto che non c'erano molti soldi, ma lei ha risposto che andava bene così.
Charlize Theron: Quando ho iniziato a recitare ho pensato che fosse la più bella cosa del mondo, alzarmi ogni mattina per andare a fare un lavoro che non si considera tale. Per me è una benedizione….ma sto aspettando più soldi e più Oscar (ride).

Signora Theron come si vede tra 10- 20 anni?
Charlize Theron: Non so ancora cosa mangerò a cena, figuriamoci se so cosa farò tra dieci anni! Mi piace il mistero della vita e l'avventura, non mi piace pianificare perché poi se non succede ciò che ho pianificato ne rimarrei delusa. Questo lavoro mi diverte ogni giorno, lascerò quando non mi divertirò più.

Qual è stato lo scopo del film, come commenta l'ultima scena?
Paul Haggis: Non parlo mai del finale dei miei film. Tutti sanno da che parte sto. Sono stato contro la guerra in Afghanistan, è chiaro e sotto la luce del sole. Ma nel realizzare il film ho solo cercato di descrivere i fatti in modo che sia il pubblico a decidere. Il mio compito è porre dei quesiti importanti e esprimerli attraverso le emozioni.

Farete un altro film sulla guerra in Iraq o in Corea?
Charlize Theron: Non sono uno scrittore, ma sono affamata di verità e fatti reali. Ma in quanto attrice le circostanze sono fatti secondari, io mi preoccupo che la storia sia vera e che prenda. Quando ho letto il copione di Paul la mia reazione è stata immediata, non ho nemmeno avuto bisogno di rileggerla.
Paul Haggis: non so quale sia il prossimo progetto, ma so che in tempo di guerra tutto può diventare politico, anche il sesso.

Lei è cresciuta in SudAfrica, un paese che conosce la violenza, cosa ne pensa?
Charlize Theron: Quando si cresce in un paese con dei problemi questo ti influenza profondamente. La mia famiglia era cosciente, non c'era notte che a cena non si parlasse di quel che succedeva, ogni giorno si leggevano i giornali. Ora che sto vivendo negli Stati Uniti, quando parlo di politica mi rendo conto che la gente della mia generazione sta perdendo la bussola, sta cercando di capire il domino della guerra. Io vengo da un paese che vuole sapere e capire, non so come ci possano essere persone che riescono a vivere senza sapere, con l'idea che anche se sta succedendo è in un altro posto e non mi interessa.

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