28 Marzo 2006 - Conferenza Stampa
"Il grande silenzio"
Intervista al regista ed ai protagonisti.
di Mauro Corso
Dopo lo straordinario ed inatteso successo riscosso in Germania, l grande silenzio, film di Philip Groning, arriva anche in Italia. Si tratta di un film-esperienza della durata complessiva prossima alle tre ore. Il regista incontra la stampa presso l'Università Gregoriana di Roma, inserita nella splendida cornice di piazza della Pilotta.
Per ora il film esce il 31 marzo con 45 copie, ma la produzione ha avuto già richieste per 100. Alcune televisioni si sono già dimostrate interessate ad acquistare la pellicola per la messa in onda, ma la distribuzione è disponibile alla trasmissione televisiva a condizione che sia ininterrotta. Apparentemente impensabile per il mercato tv in Italia, ma non si può mai dire. Il Grande Silenzio è uscito in Germania lo scorso 10 novembre ed è stato il miglior film per rapporto tra spettatori e numero di copie per tre settimane, per essere poi scalzato durante il periodo prenatalizio per una sola settimana da Harry Potter. È ancora in programmazione in 25 città ed è stato visto da oltre 160.000 spettatori. Non male -afferma Groning - per un film che a detta del produttore avrebbe realizzato al massimo 25.000 spettatori. In realtà il produttore del Grande Silenzio aveva definito il film come un capolavoro, sottolineando però che sarebbe stato adatto al massimo per il pubblico dei cineclub. Mai poi il film ha iniziato a circolare nell'apprezzamento generale, ed il regista ha detto al proprio produttore "Se i tuoi gusti sono così lontani dal pubblico forse dovresti cercare di cambiare mestiere". Allora quest'ultimo ha preso la decisione di distrubuire il film, e non di cambiare lavoro. Il film non è stato a basso costo, come potrebbe sembrare a prima vista, perché Groning voleva raggiungere un livello superiore di qualità tecnica. Avrebbe potuto girare con un'equipaggiamento standard, ma il regista tedesco ha scelto la High Definition quando l'unico ad usarla era George Lucas. E così tra l'affitto della macchina da presa e le conseguenti sedute di mixaggio sonoro per il riversamento in 35mm sono stati spesi oltre 700.000 euro. "Ricordo - continua il cineasta - che la nostra era la macchina della Sony numero nove. Considerando che tre o quattro macchine stavano nei loro laboratori direi che forse era la quarta macchina da presa ad essere usata in quell'epoca".
In realtà Groning non si dice sorpreso del successo riscosso in Germania, anche perché i film sulla spiritualità, spesso di matrice orientale, sono molto apprezzati pur se lontani dalle radici culturali dell'occidente. L'approccio verso la spiritualità di noi occidentali, continua il regista, è spesso molto negativo in quanto vogliamo cercare di raggiungere la parte più profonda di noi stessi per mettere in moto un cambiamento radicale, in grado di renderci molto diversi da quello che siamo. Questo in parte è dovuto al fatto che comunque abbiamo un atteggiamento conflittuale con la nostra religione. Mentre ad esempio non ho contrasti con lo sciamanesimo e per questo non alcuna difficoltà ad accettare quello che viene proposto sullo schermo. Ma è importante rapportarsi con il sistema entro il quale si viene allevati.
Per Groning vivere con i monaci durante i sei mesi di riprese è stato particolarmente importante perché ha avuto il modo di vedere persone radiose, felici, libere dalla schiavitù della paura perché sanno che tutto quello che accade non può essere male in quanto proviene da Dio, e che non si può sprecare la propria vita perché non è così che funziona. Il film ruota intorno a due massime "Dio, tu mi ha sedotto ed io mi sono lasciato sedurre" e "Chi non lascia i propri averi non può essere mio discepolo". Queste due massime sono il campo di tensione all'interno del quale ruota non solo l'universo monastico ma anche la nostra vita. Una vita fatta di responsabilità e di impegno, ma anche di seduzione e di abbandono alla vita stessa. Eccedere in un senso o nell'altro è sempre sbagliato. La cosa più divertente è che durante le riprese è che i monaci non erano minimamente impressionati dalla macchina da presa, anzi non lo consideravano un oggetto importante, non erano né agitati né nervosi di fronte ad essa. Inoltre non erano preoccupati di dover rappresentare dei monaci di bell'aspetto! C'erano due monaci che non volevano essere ripresi, ed il regista li informava quotidianamente di dove avrebbe girato, in modo da permettere loro di evitare la troupe. Quando i monaci hanno visto il film per la prima volta si sono divertiti molto, hanno persino riso. E poi hanno notato piccole cose su se stessi, sull'osservanza delle regole e di come si possano violare innocentemente, magari parlando con un gatto durante il voto di silenzio, oppure affrettandosi a suonare una campana perché si è in ritardo. Il regista dichiara di non essere un cattolico particolarmente ardente, e che nella Germania degli anni '60 la sua generazione è cresciuta all'ombra di una struttura ecclesiastica tesa ad enfatizzare il ruolo del peccato e della colpa nella vita dell'uomo. E che solo nel monastero della Grande Chartreuse Groning ha avuto esperienza del concetto di Grazia, fino a quel momento a lui estraneo. Ma questo film-esperienza, come lo definisce egli stesso, non è solo per credenti ma anzi è un invito per gli atei e per gli agnostici, perché attraverso la quotidianità dei monaci si riesce a scorgere qualcosa che va al di là delle facoltà cognitive umane. Ed inoltre ogni essere umano ha una relazione con il tempo. "Certo, ammette Groning, ci sono spettatori che lasciano la sala dopo 45 secondi o 2 minuti dopo l'inizio, e questo lo apprezzo, se un film non piace conviene andarsene subito, perché se passano cinque minuti poi diventa sempre più difficile andarsene. E questo è un film fortemente dichiarativo fin dalle prime sequenze, si capisce subito dove vuole andare. Vuole dare allo spettatore la possibilità di vagare all'interno di se stesso, invitandolo allo stesso tempo a mettersi nelle mani del regista per le prossime tre ore, con la promessa che si può fidare di lui".
"La cosa che mi è piaciuta di più - dice il regista - è vedere i voltli rilassati degli spettatori all'uscita delle sale. Nel film il lavoro non è il valore centrale mentre nella società di oggi e specialmente in Germania c'è una specie di situazione di panico perché si comprende che non ci sarà lavoro per tutti in futuro. E questo è il frutto coerente di un progresso tecnologico che ricerca la massimizzazione della produzione e la riduzione dei costi e delle risorse necessari a raggiungere questo scopo. Ma il lavoro non è sempre stato il valore fondante della civiltà occidentale, in quanto ha questa valenza solo da due, trecento anni. Ha quasi la valenza di una moda. Cinquecento anni fa non era molto alla moda portare i pantaloni ad esempio".
Groning è leggermente restio a parlare del suo prossimo progetto, che è in fase ancora embrionale. Si tratta di una fiction sul filosofo tedesco Martin Heidegger (1889-1976), che il regista preannuncia come "aggressiva". Quindi sembra proseguire sulla riflessione sulla natura del tempo anche se Groning sottolinea "L'essenza dell'arte cinematografica è proprio il tempo, e dopo questo film (Il Grande Silenzio) non credo di poter raggiungere una purezza simile, ed ogni mio nuovo lavoro sarà da questo punto di vista un passo indietro. La cosa migliore sarà fare qualcosa di completamente diverso".
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