Sono il numero quattro
Porta la firma del Pittacus Lore dietro il quale si celano, in realtà, i nomi di Jobie Hughes e James Frey il best-seller del New York Times da cui Alfred Gough, Miles Millar e Marti Noxon hanno ricavato la sceneggiatura del terzo lungometraggio Dreamworks diretto dall’americano D.J. Caruso, dopo il thriller hitchcockiano "Disturbia" (2007) e l’action-movie "Eagle eye" (2008), entrambi interpretati da Shia LaBeouf.
Questa volta, troviamo l’Alex Pettyfer di "Stormbreaker" (2006) nei panni del protagonista John Smith, il quale, dotato di straordinari poteri, è il quarto individuo che un gruppetto di crudeli nemici, già responsabili di tre morti, vorrebbero annientare.
Un ragazzo che, costretto a muoversi di città in città cambiando costantemente identità e sempre affiancato dal suo guardiano Henri, con le fattezze del Timothy Olyphant di "Hitman-L’assassino" (2007), finisce per fermarsi in un piccolo centro dell’Ohio, dove non solo incontra Sarah alias Dianna Agron, ma scopre nuove potenti capacità e fa conoscenza con altri che condividono il suo destino.
E, a partire dal momento in cui, nuovo arrivato, viene infastidito dai suoi coetanei, non possiamo fare a meno di respirare una certa aria da pellicola di genere anni Ottanta per teen-ager, riconfermata anche dalla sequenza in cui si addentra in un’attrazione consistente in una sorta di "bosco degli orrori".
Sicuramente la migliore sequenza dei circa 110 minuti di visione (non pochi, dunque) che, con un Olyphant sempre convincente ma abbastanza sprecato, presentano fattezze più vicine a quelle delle fanta-storie di taglio fumettistico che ai connotati di un thriller in salsa horror.
D’altra parte, l’impressione generale, tra raggi luminosi e fiamme, è quella di trovarsi non distanti dal poco convincente "The covenant" (2006) di Renny Harlin, il quale, proprio come il film di Caruso, sembrava più un b-movie per il mercato dell’home video che una produzione destinata al grande schermo.
Con l’originalità ridotta all’osso e conseguente noia, nonostante le non poche dosi d’azione presenti, fino ad una fracassona parte finale che, oltre a mostruose creature digitali, privilegia lo scontro con una delle più ridicole razze di cattivi proposte dalla settima arte.

La frase: "Io sono il prossimo, sono il numero quattro".

Francesco Lomuscio

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